L’amore incompreso tra un figlio e il padre

Un romanzo autobiografico sulla figura e la morte del padre, impietoso, innanzi tutto con se stesso, ma umanissimo in questo racconto-riflessione, in questo sguardo che non si abbassa mai davanti a nulla, che si osserva allo specchio razionalmente, per arrivare al cuore della questione e del rapporto. Ogni tanto l’io narrante si difende con l’ironia, o con quella cultura che serve da schermo, che suo padre aveva intuito benissimo e non sopportava, ma aprendo di continuo questioni e interrogativi non facili, per chi confessa «ho l’impressione che fino a quando camperò io sarò sempre, prima di tutto, un figlio», come in un’impossibilità di crescere anche davanti al dramma della malattia e della morte. «Mio padre non amava la musica» è l’affermazione iniziale del racconto, rivelatoria di una sorta di incapacità di avere sentimenti, di aprirsi all’esterno di quest’uomo lontano, che comunica col figlio solo attraverso un atteggiamento c

anzonatorio, che non dà importanza a quello che al giovane importa. Allora anche quel definirlo solo come “ingegnere” sin dal titolo diventa una presa di distanza, il riconoscimento «di un cuore povero e disumano» di chi confessa «io mio padre non l’ho mai capito». Un uomo tutto d’un pezzo, un professionista di una volta, serio, un “pater familias” che provvede a tutto e di più, ma non altro, che al figlio appare talvolta crudele nel suo tentativo di provocarlo e indifferente nel non considerarlo. Un’incomunicabilità profonda per la quale l’autore arriva a una affermazione senza scampo, più esistenziale che contingente o personale: «Ci deve essere un terribile equivoco». Il libro si divide in due parti, forse scritte in tempi diversi, visto che una fu tirata giù a caldo, tre mesi dopo la morte del padre nel 1991. La prima affronta il rapporto e la figura dell’ingegnere, mentre la seconda riguarda la malattia e la morte con la volontà di stargli vicino sino al momento estremo, comunque, tenendogli la mano, come per meglio vivere e capire cosa stia accadendo, dopo essere scappato due volte, a New York e a Berlino, dove aveva scoperto la propria alterità e indifferenza. Quel che scopre di rimproverare di più al padre è quel che scopre eguale in se stesso, il voler risparmiare «il dolore del sapere», perché «meglio che l’altro non sappia, meglio che gli sia evitata la conoscenza, poiché la conoscenza è comunque sgradevole, deludente, spaventosa». La conoscenza è la vita e arriva comunque: la malattia cambia i rapporti, ribalta i ruoli, porta nervosismi e insofferenze, mostra come la gente sia fatta di carne e di sangue. Allora è attraverso il corpo e la sofferenza che comunque avviene una comunicazione sulla base del proprio essere esseri umani. «Forse mio padre non si vergognava affatto e sono io che mi vergogno», che scritto così, isolato dal resto, ha una valenza maggiore di quella cui si riferisce, il proprio essere padrone davanti agli operai, essere ricco davanti a chi ha le scarpe rotte. La scrittura di Albinati rivela un lungo lavoro, ha un suo ritmo senza inciampi, incisiva nell’asprezza del contenuto, nella tenerezza della ricostruzione, nella generosità al di là del bisogno di difendersi. Si aspettava, e la madre più di lui, che la sofferenza «avrebbe schiuso l’intimo di mio padre, e invece questi vi si barricò dentro e morì nel bozzolo, senza che nessuno scoprisse come era fatto». E il figlio annota: «viviamo prigionieri del mito della profondità e della complessità, finché la morte, privandoci delle cose più ovvie, le rende ironicamente memorabili», cercando quindi di recuperarle nella memoria, di ricostruire un qualche quotidiano, ma non è possibile «trasformare una storia vera in una vera storia» perché «la vita non è un romanzo» e comunque va avanti, comunque i figli piccoli giocano e strillano incuranti, e all’improvviso può apparire un grande colorato arcobaleno a consolare chi sta tornando dal cimitero: «Aprimmo gli sportelli e scendemmo tutti a guardare».

_____

EDOARDO ALBINATI, Vita e morte di un ingegnere, Mondadori Editore, Milano 2012, pp. 150, 18 euro

© RIPRODUZIONE RISERVATA