La salute e la malattia viste da un dottore

Andrés Miranda è un medico innamorato della teoria, meno della clinica. Un giorno tuttavia - proprio lui, che preferirebbe passare il tempo fra i libri o nella sala delle autopsie - è costretto a comunicare alla persona più cara, il padre Javier, che questi è affetto da un carcinoma al quarto stadio con metastasi cerebrali: una sentenza di morte. La prima parte del romanzo di Alberto Barrera Tyszka, venezuelano nato a Caracas nel 1960 - qui al suo debutto in traduzione italiana - descrive i tentativi intrapresi da Andrés per trovare le parole idonee e creare l’occasione propizia allo svelamento della verità innanzi al padre. Il momento giusto si verificherà, però, al di fuori di ogni piano preordinato, prendendo in contropiede proprio chi si era industriato a fabbricare l’istante perfetto: «Si finisce sempre per parlare quando non si è preparati, quando non ci si spera più (…). A volte le parole si pronunciano da sole, parlano per conto loro». Il sussurro che erompe dal petto al di là delle intenzioni, il bisogno irrazionale di parlare, o addirittura di scrivere, per rendere conto di un malessere e della propria vertigine di fragilità, sono esattamente ciò che, nella seconda parte del libro, trascinerà i protagonisti all’«ufficio reclami della natura», per interrogare l’«orrore burocratico» dell’infermità. Solo il linguaggio che impone l’ascolto e l’attenzione che spezza la solitudine, per quanto impotenti a sortire la guarigione, sono ciò che consente all’uomo di affrontare una creaturalità inevitabilmente condannata a fare la spola – come sosteneva Susan Sontag – tra le due cittadinanze della salute e della malattia.

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ALBERTO BARRERA TYSZKA, La malattia, Einaudi, Torino 2012, pp. 163, 13,50 euro

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