La missione-salvezza di una madre iraniana

Una giovane ma già vecchia madre iraniana che vive nella povertà più estrema, con il suo stuolo di figli malaticci e un marito abbruttito dall’alcol e dall’oppio, in una grotta scavata dentro un canale alla periferia di Teheran. Una moderna bolgia dantesca abitata da disperati cui non manca però la reciproca solidarietà e da cui quotidianamente, prima dell’alba, Nâhid si allontana per iniziare un’interminabile camminata fino ai quartieri “alti” della città, abitati dai ricchi stranieri fra cui la signora Engelhardt, presso la quale lavora come domestica. Nâhid è stata licenziata, ma ha un’ultima “missione” da compiere nella casa dove per quattro anni ha speso fatica e sudore per pochi denari, accudendo anche il piccolo Pedi. Una casa immensa, perfetta, opulenta, un paradiso dietro la cui luce abbagliante si nasconde però l’orrore più nero, che solo chi viene dall’inferno – ma che nell’indigenza non ha mai perso dignità e speranza - può scorgere e tentare di combattere. Davanti al trono di Allah, primo e miglior racconto di questa bella antologia dell’iraniana (trapiantata in Germania) Sudabeh Mohafez, è la storia, commovente, di questa missione che la 31enne protagonista compie fra mille dubbi, ma con la stampella della preghiera e la forza della disperazione di una madre disposta a tutto pur di “salvare” un’altra madre e la sua creatura. Pronta anche a compiere azioni inconsulte, perché «a volte la direzione sbagliata è quella giusta». La dimensione dell’esilio lascia le sue tracce un po’ dovunque, anche negli altri, più brevi racconti, con i ricordi che si accumulano come granelli di sabbia a coprire di luce gialla il cielo grigio sopra la Sprea, abitato dal Dio dell’ascolto e della misericordia.

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SUDABEH MOHAFEZ, Cielo di sabbia, Keller editore, Rovereto 2012, pp.106, 11 euro

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