La dolce Darusja e l’amore negato a chi è diverso

Un’altra storia di confine, confine geografico (quello della Bucovina, terra dell’Est europeo ancora oggi divisa fra Romania e Ucraina), ma anche confine di status: fra chi è “normale” e chi, almeno nell’accezione comune, non lo è ma porta impresse le stimmate della follia. E dunque non può avere diritto alla sua dose di felicità, a partire da quella più importante: amare ed essere amati.

Marja Matios, scrittrice 55enne originaria di Rostock ma residente a Kiev, imbastisce per Keller (nella collana “Confini”) un breve romanzo di grande potenza, che sotto la patina di una scrittura solo all’apparenza leggera con tratti all’insegna del grottesco, cela lo strazio di una donna - Darusja - e di una famiglia, condannate all’infelicità da un mondo che sembra non aver pietà per i “diversi” e che non tollera che questi possano godere, sia pure per poco, di un pizzico di gioia. Come quella che a un certo punto piomba, inattesa, nella vita di Darusja, che vede improvvisamente un uomo rude e strambo ma dal cuore grande - Ivan - prendersi cura di lei, dei suoi dolori e delle sue paure. Una parentesi breve e toccante, la loro, cui metteranno fine le cattiverie degli abitanti del villaggio, rosi da un’invidia stolida e crudele, figlia della paura e del pregiudizio.

Ma nella carne ferita e nella vita aspra di Darusja, nei furibondi mal di testa che la affliggono e nel suo mutismo rassegnato (rotto soltanto davanti alla tomba del padre), si nasconde in realtà il destino di un intero Paese, di una regione che alla fine della Prima guerra mondiale è spaccata in mille fronti, rivendicata da Ucraina, Romania, Polonia, Germania e Russia. Una regione destinata a non avere pace e futuro, proprio come la vita di Darusja.

Con uno stile unico e potente, qua e là spruzzato anche di amara ironia, l’autrice riesce a descrivere questa carne ammaccata dalla storia, disegna il ritratto di Darusja e degli anziani che incarnano il XX secolo in Europa e la guerra che oggi, ancora, mette a rischio qeull’angolo di mondo non così lontano dal nostro. Lo fa in pagine come questa, tradotte con grande perizia da Francesca Fici: «... Darusja giaceva a occhi chiusi e ascoltava Ivan quando a un tratto il suo corpo fu percorso da un fremito... Come delle piccolissime bollicine sulla superficie liscia di un fiume in estate, quando comincia a venir giù una pioggerella leggera. Sentì tremare ogni venuzza e pensò che non era stupida, ma soltanto dolce, come era dolce quel fremito febbrile che non aveva mai provato. Il farfuglio di Ivan giungeva nella sua testa come attraverso una nebbia spessa, fino a lontananze e profondità sin allora sconosciute, di cui Darusja ignorava persino l’esistenza. In quel momento non provava né vergogna né paura, e un filo sottile sottile, come il sentierino lunare sull’acqua delle vasche, guizzò tra lei e Ivan e gridò alla sua anima dolente di rispondere all’appello... E quando le mani ruvide di Ivan strinsero il capo silente di Darusja, da lei eruppe qualcosa, come un gemito o un ululato o un grido di gioia, che avrebbe potuto assoggettare il mondo intero».

Marija Matios, Darusja la dolce, Keller, Trento 2015, pp.224, 15,50 euro

© RIPRODUZIONE RISERVATA