La “buona poesia” delle cose quotidiane

Con una nota di Jean Robaey in forma di attestato, “Questa sì è buona poesia”, il volume raccoglie, con brevi apparati, vent’anni di scrittura poetica di Gabriele Zani (Cesena, 1959). Si va dalle prove essenziali, ma già intonate di Monolocale all’ultima sezione eponima che da titolo al volume, in un percorso ormai maturo che accoglie il magistero “sereniano” e “neriano” declinandolo in una scrittura tersa e distesa che molto deve alla riduzione dell’io ed a una poetica dello “sguardo” al limite del pianissimo, come ha sottolineato per lo sguardo, anche Robaey nella sua nota. La struttura metrico- ritmica si fa liquida rispondendo ad un ordine interiore e di attenuazione in un ritorno alla prosa poetica, ma dopo la lirica con l’antilirica, ancora la lirica, per dritto o rovescio, non venendo a mancare il luogo di tale dicibilità ed intonazione. Di due poeti cui è stato importante l’incontro con la poesia “conclusiva” di Giampiero Neri per dare una “svolta di respiro” alla propria, la poesia di Remo Pagnanelli rappresenta il lato più complessamente veritativo e meditativo tranquillamente tragico, mentre quello di Zani si dà in “anfratti” e votato a esperire il quotidiano, ed è “fotografico” nel porsi alla durata della scrittura. Con qualche tratto calligrafico Treni: «Ogni treno che va, sembra per sempre. // Il mio rallentò tra Lugo e Solarolo / per poi fermarsi in aperta campagna / nero bruco nella pianura gialla di grano. / La siepe che lampeggiava negli occhi / ora stava immobile contro il finestrino / un intrico di paglie di rovi rugginosi / di svariate fogliuzze tra fiori violacei».

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