Joshua Shapiro, un caleidoscopio tra ieri e l’oggi

Un affermato giornalista di mezza età, minacciato dal coinvolgimento in uno scandalo di natura sessuale, è ricoverato in clinica, dove dopo un grave incidente, tra stati di ottundimento e lucidità, ricorda la sua vita. Joshua Shapiro, al pari dell’indimenticabile Barney Panofsky della Versione di Barney, romanzo che assicurò a Mordecai Richler fama internazionale, incarna il suo spirito ebraico in un uomo ribelle, reticente alle convenzioni sociali e perennemente incalzato da giudici che di volta in volta indossano le maschere di risentiti colleghi, donne complicate, diffamanti perbenisti o frustrati e violenti poliziotti. Lo scrittore canadese, talento tra i migliori della seconda metà del Novecento, dà voce a personaggi anomali, incontenibilmente bramosi di vita, incostanti, sensibili e micidiali, soggetti alla persecuzione di un mondo che nutre

verso di loro un’inconfessabile invidia. Un nuovo capitolo, insomma, della poliedrica e sofferta identità ebraica interpretata da Richler, architetto di trame romanzesche che giocano su più piani temporali, ricostruendo a tasselli distanti e connessi le vicende dei suoi eroi inquieti e dell’universo che ruota attorno ad essi. Ma torniamo a Shapiro, malconcio in ospedale e ossessionato dalla scomparsa della moglie Pauline, fuggita da un altro ospedale, questa volta psichiatrico. Alla ricerca di lumi che lo aiutino a sbrogliare la matassa di un’intricata esistenza, Joshua ricorda gli anni di un giovanile viaggio in Europa: periodo di vita bohemien, peregrinazioni e ricerche che da Londra lo conducono in Spagna, deciso a ultimare un saggio sulla Guerra Civile, e dalle città spagnole fino all’isola d’Ibiza, quando, nei primi anni Cinquanta, era ancora un luogo incantevole abitato da pescatori e pochi viaggiatori di passaggio. Sono pagine tra le più belle di Joshua, che restituiscono l’irrequieta meraviglia di una gioventù intenta a misurarsi con fumosi postriboli, deliranti e imboscati nazisti, sinceri e coriacei uomini di mare, amori rapidi e intensi, amicizie terrigne e intellettuali, mentre da una radio mai spenta si ascoltano gli echi allarmanti del regime franchista. Ma l’orologio controllato da Richler non smette mai di spostare le sue lancette, e da questo scenario emerge la figura del padre Reuben, ex pugile di una certa fama nonché esattore poco raccomandabile per conto di un trafficante italiano: uomo ruvido e dolce, che con un’arma a portata di mano raccomanda al figlio la lettura dei testi sacri e il rispetto delle pratiche religiose, quasi fosse questione di dignità più che di fede; quindi la madre, Esther, nota nella zona di St. Urbain Street per i suoi spogliarelli, che in un momento di felicità, di fronte a un gruppo di compagni di scuola del piccolo Joshua si produce in uno dei suoi numeri piccanti. Una famiglia di equivoche, umili origini, quella degli Shapiro, che impatta contro una classe sociale diversa quando Joshua si innamora di Pauline, figlia del senatore Hornby. Come spesso accade alle figure femminili di Richler, anche l’avvenente Pauline è minata da una radicata fragilità nervosa e un’insoddisfazione che deborderà in una crisi psichiatrica alla morte dell’adorato fratello Kevin, viziato speculatore di borsa approdato al successo e bersagliato da accuse di fraudolente manovre finanziarie. Un altro dei tanti personaggi di questo caleidoscopio di campioni umani mulinanti attorno a un’esistenza che, come al termine di un rabdomantico film, più che a spiegarsi giungerà a illustrare il sorprendente spettacolo del proprio destino. Quel che si chiede, in fondo, alla letteratura.

Mordecai Richler Joshua allora e oggi Adelphi edizioni, Milano 2013, pp. 446, 20 euro

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