Ingiustizie e massacri, Walker sceglie il grido

Il colore viola fu un libro – poi diventato un celebre film – che sconvolse l’animo di molti: denunciava le ingiustizie che le persone di colore ricevevano in quella che era la loro patria, l’America. E dimostrava quanto il razzismo strisciante fosse un male ancora lontano dall’essere estirpato nelle nostre società benpensanti. Era il 1984 e Alice Walker, che per quel libro vinse il Premio Pulitzer, era un’attivista per i diritti civili. Sono passati tanti anni, ma la Walker, affermata saggista, non ha smesso i panni dell’attivista. Pubblica ora, per la raffinata casa editrice romana Nottetempo, un libercolo di poche pagine ma di infinita sostanza. Leggere le parole dell’autrice afroamericana è ora un balsamo ora una pugnalata. Il dolore viene dalla sua prosa volutamente scarna ed essenziale con la quale ci racconta dei territori dell’orrore moderno. Dure, durissime le pagine sul Ruanda e sul Congo Orientale, descritti con un’empatia che non fa perdere lucidità alla saggista: tre anni fa Alice Walker è tornata nei posti del massacro tra hutu e tutsi, ha parlato con i sopravvissuti e ricostruito la storia del genocidio africano (senza risparmiare frecciate durissime al colonialismo belga). Il balsamo arriva nella seconda parte del volume, quando l’autrice racconta del suo viaggio a Gaza: seppur sconvolta dalla situazione in cui versano le famiglie che vivono nella cosiddetta Striscia e dalla durezza di questo eterno conflitto per una terra contesa, Alice Walker ci racconta anche dei passi avanti fatti dalle donne, grazie a organizzazioni come “Women for Women International” che hanno puntato tutto sull’occupazione femminile come strumento di rinascita sociale.

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