Libero Bigiaretti fa parte dei dimenticati della letteratura italiana. La sua esclusione dai volumi scolastici lo hanno reso quasi sconosciuto anche agli addetti ai lavori, eppure lo scrittore nato a Matelica nel 1905 e morto a Roma nel 1993 rappresenta una voce narrativa e critica importante nel panorama italiano. Soprattutto sul versante della «cultura industriale» di cui fu protagonista: per anni infatti Bigiaretti lavorò come direttore dell’ufficio stampa dell’Olivetti di Ivrea, esperienza che gli diede l’opportunità di studiare da vicino i meccanismi che regolavano quello che all’epoca veniva definito il «capitalismo illuminato». Questo l’oggetto del libro a cura della ricercatrice lodigiana Cristina Tagliaferri, che in Libero Bigiaretti - Scritti e discorsi di cultura industriale ha raccolto alcuni brani inediti dello scrittore marchigiano. Attraverso discorsi e scritti apparsi su riviste del settore si può così ricostruire un mondo ormai scomparso: le ragioni da cui muove l’indagine di Bigiaretti conducono infatti alla famosa domanda proposta da Adriano Olivetti: «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?». Bigiaretti acquisì l’attitudine a leggere i fenomeni del proprio tempo anche a una serie di esperienze legate a importanti quotidiani e periodici. L’incontro con Olivetti fu il cardine per interrogarsi sulla classe operaia: «In questo orizzonte di senso - scrive Tagliaferri - si collocano le considerazioni di Bigiaretti, rigorose e lucide fino a risultare profetiche nelle parole conclusive. Un discorso volto a richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori sull’importanza di formare l’impiegato e l’operaio, nel senso di aiutarlo a migliorare la propria cultura e il tempo libero».
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LIBERO BIGIARETTI,Scritti e discorsi di cultura industriale, Hacca Edizioni,Matelica 2010,pp. 152,12 euro
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