Il senso del vivere nell’amore per i libri

Una libreria, secondo il filosofo francese Jean-Luc Nancy, è un luogo di commercio di pensieri, in cui i singoli volumi - con i dorsi rilegati, le brossure, la fragranza delle pagine - hanno valore allorché entrano finalmente nello sguardo e nella lettura di qualcuno. Un libro, d’altra parte, è sia un oggetto a scaffale, sia un testo, un’idea. L’io narrante dell’atteso esordio di Sergio Garufi - nome che i primi lettori del blog letterario Nazione Indiana ricorderanno - abita da «apolide del destino» il medesimo bilico metafisico di un segno culturale: schiantatosi sulla circonvallazione intorno a Roma e divenuto il fantasma di se stesso, egli pedina gli anonimi acquirenti dei volumi che in vita ha ceduto all’arruffato libraio Lino. «Nello spicciolarsi dei giorni tutti uguali» l’ombra di colui che fu un uomo osserva un «ceto medio dell’anima» che compra i suoi Diari di Kafka, il suo Zibaldone leopardiano, le sue opere di Borges, i suoi cataloghi d’arte. Da ognuno dei quindici titoli, a cui sono intestati i capitoli del romanzo, l’alter-ego dell’autore trae spunto per un’anarchica narrazione di sé e dei propri dissidi familiari, delle proprie speranze, dei fallimenti e degli amori di una vita. Garufi ci consegna un’intensa riflessione sul rapporto tra scrittura ed esperienza, cogliendo il punto di fragilità assoluta in cui l’uomo e la parola coincidono e si distinguono, per lasciare spazio alla grana sottile del racconto, del senso che il vivere rincorre, riuscendo talvolta a conferirgli il nome giusto.

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SERGIO GARUFI, Il nome giusto, Ponte alle Grazie, Milano 2011, pp. 238, 16 euro

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