Il romanzo terribile del Pakistan

Ronzio del traffico, qualche sirena e ogni tanto spari più o meno vicini: è la nuova Karachi, dice Fatima Bhutto, elencando altri guasti, a cominciare dall’elettricità carissima e che manca continuamente per cui, per esempio, il Pakistan ha mancato l’obiettivo di sradicare la poliomelite diffusa in tutto il Paese perché lo stato non ha saputo garantire la corretta refrigerazione dei vaccini: «La corruzione è anche questo, semplicemente».

Al termine di questo primo ritratto del suo Paese, datato 2008, l’autrice scrive: «Come siamo arrivati a questo punto? Il viaggio comincia molto tempo fa, prima dell’assassinio di mio padre». Ed è per ricostruire quel fatto, indagarvi e accusare davanti al mondo che Fatima Bhutto ha scritto questo suo libro autobiografico, inquietante e avvincente, nel confermarci che oggi il noir è l’unico genere utile per raccontare la realtà, tanto più in certe parti del mondo, che pure sono nevralgiche per la pace di tutti.La figlia comincia ricordando l’ultimo compleanno di suo padre Mir Murtaza Bhutto, con una cena in un ristorante dove gli portano da firmare il libro degli ospiti d’onore e la pagina è aperta sulla firma del generale Zia ul Haq, l’uomo che aveva guidato il colpo di stato contro il nonno di Fatima, Zulfikar Ali Bhutto, e lo aveva poi fatto catturare, torturare e ammazzare due anni dopo facendo sparire il cadavere. Il giorno dopo, 20 settembre 1996, anche suo padre verrà assassinato. Due morti ricordate sin dalla copertina del libro, con quelle dello zio Shahanawaz Bhutto, ucciso nel 1985, e di sua zia Benazir Bhutto, assassinata nel 2007.Il giorno di quella cena, il padre aveva anche detto a Fatima quattordicenne che non avrebbe mai potuto scrivere della propria vita finché fosse stato vivo, perché non gli avrebbero permesso di dire quel che sapeva, e aveva invitato un giorno a farlo lei. Oggi lo ha fatto e ha scoperto cose terribili su alcuni dei Bhutto, grande e storica famiglia di guerrieri, oggi possidenti terrieri che sono stati al centro della vita politica del Pakistan, vicende quasi con echi da tragedia greca o dramma storico shakespeariano, che ha messo nero su bianco, suscitando violente reazioni nel suo paese, anche se nessuno dei protagonisti lo ha pubblicamente commentato. Oggi circola quasi clandestinamente, ma i giovani ne organizzano dei reading pubblici sempre affollati.In queste pagine c’é l’accusa circostanziata al presidente Asif Ali Zardari, assolto nel 2009 da un tribunale pakistano, di aver fatto uccidere suo padre, quella sera di 15 anni fa sulla soglia di casa, e a sua zia Benazir, ambiziosa e succube di un marito corrotto ed egualmente affamato di potere, di essere stata complice del presidente. In questo si compie l’atto d’amore dovuto verso il padre e assieme il libro diventa l’atto d’amore verso il proprio Paese, sorta di romanzo terribile sul Pakistan di oggi attraverso le vicende di una famiglia. Tanto che nell’ultima pagina di questo Canzoni di sangue Fatima Bhutto annota: «In mezzo a tutta questa follia, a tutti questi fantasmi ai ricordi dei tempi passati, a volte mi sembra che il mondo intorno a me stia andando in pezzi... in questi momenti penso che nel mio cuore non ci sia più posto per il Pakistan, mi sembra di non poterlo più amare... Ma poi le ore trascorrono ... e capisco che non potrò mai andarmene».

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FATIMA BHUTTO, Canzoni di sangue Garzanti, Milano 2010, pp 532, 19.80 euro

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