Cent’anni fa nasceva Marshall McLuhan, massimo studioso dei mezzi di comunicazione di massa: uno dei suoi allievi è Derrick de Kerckhove, sociologo e massmediologo che lavora tra Napoli e il Canada. È lui a firmare la prefazione all’ultimo libro di Michele Mezza, giornalista Rai di lungo corso e fondatore di Rai News 24. Perché se è vero, come spiega de Kerckhove e come McLuhan intuì prima di tutti, che il computer è sempre più una protesi del cervello umano, esistono «vincitori e vinti nella guerra alla velocità digitale». Il mondo del mercato editoriale e dell’informazione è allo sconquasso e non sa dove andare: da una parte blog come l’Huffington Post diventano collettori d’opinioni e si trasformano in giornali on line, dall’altra celebri testate cominciano con l’avventura delle news on line a pagamento. Dall’altra ancora, i social network stanno mutando il profilo del giornalista non più come disvelatore esclusivo della notizia, ma come co-produttore di nuovi sistemi che vanno a sostituirsi alla meccanica redazionale. Convinto che tutto ciò che sta accadendo sul fronte dell’informazione sia una chance più che una iattura, Mezza prova a delineare la figura di un nuovo mediatore, capace di governare le tecnologie e soprattutto di abbandonare conservatorismi e nostalgici ricordi del passato. Ha ancora senso fare il giornalista? Certo che sì, a patto che si abbia voglia di rimettersi in gioco «con la certezza che l’informazione digitale è un’impresa culturale troppo importante per lasciarla solo ai giornalisti. Ma che diventa impossibile senza di loro».
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