«Carne da reattore»: è la vita di una dei tanti operai a contratto nelle centrali nucleari francesi. O almeno così la racconta l’esordio letterario di Filhol che in Francia è stata una rivelazione e il cui libro è stato premiato come migliore opera prima. Figlia di una generazione (l’autrice è nata nel 1965) che ha subito lo shock di Chernobyl (25 anni fa proprio oggi), Fihlol narra con grande abilità, con una scrittura secca e clinica, la quotidianità di uno di questi operai, Yann. Un uomo alle prese con un Moloch che ha bisogno ogni giorno di un pezzetto dell’esistenza di chi assicura il suo finanziamento e la sua produttività. Perché questo è il prezzo da pagare per assicurarsi uno sviluppo sempre maggiore dove l’equilibrio nel rapporto uomo-natura ha un’asticella ogni volta più alta. Una logica di mercato che governa una professione solo in apparenza diversa dalle altre. Yann e i suoi compagni sono una confraternità di lavoratori nomadi, precari, cresciuti all’ombra della catastrofe in Ucraina e uniti dalla consapevolezza del pericolo, dalla minaccia dell’irradiazione e della sovraesposizione. «Visto dall’esterno - racconta Yann - nulla di inquietante. I pennacchi di vapore s’innalzano al di sopra delle torri refrigeranti e i centocinquanta ettari su cui si stendono gli impianti appaiono come un luogo tranquillo. Sotto controllo». Ma sotto? «È la domanda che tutti si fanno, dietro una calma ingannevole: il motore imballato del sistema e gli uomini che dovrebbero pilotare la macchina, mantenuti sotto pressione artificialmente - incalza Yann - si incrinano a loro volta. Fin dove? qual è il punto di rottura?»._____________________________________________________
ELISABETH FILHOL, La centrale, Fazi, Roma 2011, pp. 123, 12 euro
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