Conta solo l’amore. Anche quello, impossibile e irrealizzabile, di un bambino di otto anni per la madre 28enne del compagno di scuola. Perché «l’amore è una malattia in un mondo dove l’unica cosa naturale è l’odio» e perché l’amore riesce a sospendere, anche solo per un istante, la corsa del tempo. C’è tutta la poesia di José Emilio Pacheco, il suo senso amaro del fluire inarrestabile della vita, il suo sguardo nostalgico sul mondo che si trasforma sotto l’incalzare del progresso, in questo breve quanto intenso romanzo che il 73enne poeta e scrittore messicano diede alle stampe ormai trent’anni fa e che laNuovafrontiera ripubblica ora – 19 anni dopo la prima edizione italiana di Giunti. Il libro racconta in prima persona la vicenda di Carlos, un bambino della classe media messicana che vive in un quartiere periferico della Capitale abitato in maggioranza da arabi ed ebrei i cui figli giocano alla guerra nel cortile della scuola (le battaglie nel deserto). Sono gli anni dell’imperioso sviluppo del Messico sotto l’influenza dell’America post-bellica della rivoluzione tecnologica e dei consumi. Il Paese vive tutte le contraddizioni di tale sviluppo e il piccolo Carlos, cogliendone precocemente le ipocrisie, si oppone come può, innamorandosi segretamente e in silenzio della bella e irraggiungibile Mariana, «pur sapendo che tutto è perduto e non c’è alcuna speranza». Pacheco, riproponendo anche in prosa lo stile colloquiale e piano che ha reso celebre in patria e fuori i suoi versi, racconta tutto ciò con apparente leggerezza, mescolando l’innato pessimismo di fondo con tinte umoristiche di stampo anglosassone che sgravano il peso al lettore, conducendolo rapidamente fino all’epilogo.
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