Il libro della vita di Stuart Nadler fra vizi e virtù

Ci sono tradimenti nascosti e tradimenti disvelati. E ci sono tradimenti addirittura tollerati, sopportati, con cui si può pure convivere sotto lo stesso tetto in virtù di un amore più grande o di un bene più grande: l’unità di una famiglia, sia pure sfregiata da tante crepe, il rispetto di una promessa siglata davanti a Dio, la serenità dei figli ancora impreparati ad affrontare i marosi dell’età adulta senza solide mani a reggere il timone. È una galleria di fragilità, di uomini e donne piagati dalle fatiche dello stare insieme, quella in cui Stuart Nadler proietta, non senza un velo di leggerezza e ironia, i suoi lettori nei racconti riuniti in questa intensa silloge che prende il nome dalla prima e spiazzante storia narrata: Nel libro della vita. Un titolo che si potrebbe tranquillamente collocare in testa alle altre sette vicende raccontate dal giovane s

crittore americano, segnalato recentemente fra i cinque migliori autori sotto i 35 anni dalla National Book Foundation. Perché sono storie immerse nel “libro della vita”, queste; storie che raccontano la provincia americana contemporanea dall’interno delle comunità ebraiche, con i loro riti, le loro tradizioni e le loro ricorrenze che resistono sulla superficie di una secolarizzazione che ha ormai scavato nel profondo anche al loro interno. Comunità, infatti, in cui i propri componenti - spesso mischiati a cristiani o agnostici (gli stessi matrimoni misti sono ormai divenuti la norma) - non sono immuni dai tanti “vizi” della società iperconsumistica, edonistica e superficiale degli anni Duemila, in America come in tutto l’Occidente benestante. Con una scrittura puntuale e pulita, leggera e insieme profonda, capace di pennellate naturalistiche nelle descrizioni ma anche intrisa di striature ironiche e divertite nella stesura dei dialoghi, Stuart Nadler sa spostare il punto di vista del lettore e - novello Pirandello ma senza i rovelli esistenzialisti dei personaggi del Nobel siciliano - riesce a fargli vedere che niente è davvero come sembra, che la realtà è molto più complessa e sfuggente dell’apparenza: fra le mura domestiche come nella società, nell’amore come nell’amicizia o nel lavoro, addirittura nella propria testa e nel proprio cuore. Lieve e ironico, degno figlio della tradizione narrativa di certo umorismo ebraico (alla Philip Roth o alla Isaac Singer per intenderci), Nadler si fa leggere con gusto e riesce nella non facile impresa di fare riflettere senza annoiare, di intrattenere senza abbassare il registro. Dei suoi personaggi, o almeno di alcuni di essi, si resta colpiti e insieme atterriti per il modo in cui affrontano i propri guai e tollerano, pur nel dolore, nell’amarezza e nella disillusione, il male di vivere con tutte le ferite che questo può scavare nella viva carne di ciascuno. È il caso del protagonista del racconto Inverno lungo il Sawtooth, un uomo che cerca pervicacemente di tenere in piedi un matrimonio con una moglie da cui non è più amato e che consuma i suoi tradimenti sotto il tetto di casa, impunemente. «Senza Josh (il figlio uscito di casa, ndr) e con Osgood (l’amante, ndr) improvvisamente così a suo agio in casa mia da portarsi dietro le pantofole, ormai passeggiavo da solo. Scoprii che una bella camminata nella notte pungente è un modo decoroso e rispettabile di essere soli». La solitudine, dunque, come possibile rifugio, come usbergo per proteggersi dalle frecce avvelenate dell’onta. Certo si fa fatica a superare l’amarezza del tradimento, ma se si tiene a qualcuno lo si perdona o si fa finta di niente, in qualche modo ce ne si fa una ragione. Sperando che una nuova alba, domani, ci aspetti all’orizzonte.

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Stuart Nadler, Nel libro della vita e altri racconti, Bollati Boringhieri, Torino 2014, pp. 231, 9 euro

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