Il latino è vivo, il latino è bello, Gardini dixit

Regalate questo libro ai vostri figli liceali e provate a leggerlo insieme (io l’ho fatto). Vi accorgerete che anche i cosiddetti millennials, a primo acchito chiusi e diffidenti di fronte allo studio di una lingua ritenuta “morta” e “inutile” - lontana chilometri dal loro mondo di chat, messaggini audio e video, Facebook, Instagram e Snapchat - riescono a interessarvisi e, perché no, a gustarne anche la bellezza, la ricchezza, la pienezza e la varietà. Perché il latino - quello letterario in primo luogo - è vivo e vegeto (a dimostrarlo basta rammentare lo sprone e i modelli che ha fornito ai grandi delle patrie lettere per la realizzazione dei loro capolavori, da Dante a Boccaccio, da Petrarca ad Ariosto, da Machiavelli, a Galileo e su su fino al Sette e Ottocento almeno). È vivo, dunque, e fa bene. É medicina del cuore dell’anima, è interrogazione di sé e impulso a capire e a capirsi, è chiave d’accesso per comprendere la società e la cultura occidentali, e non solo. Ne è convinto Nicola Gardini, già docente al liceo Verri di Lodi e oggi professore di Lettura italiana e comparata all’Università di Oxford, che ha scritto un appassionato e appassionante omaggio alla lingua di Cicerone, offrendo una lettura personale quanto intrigante dei grandi protagonisti della latinitas. Dalle prime prove arcaiche di Plauto ed Ennio, purtroppo pervenuteci in pochi frammenti, al codificarsi di una struttura sintattica e grammaticale nel II secolo avanti Cristo; alla successiva “cristallizzazione” stilistica dell’età classica (negli anni finali della Repubblica); alle grandi voci della prima epoca imperiale; fino agli scrittori cristiani, spaziando per generi e per autori, ma sempre con esempi di lettura opportunamente selezionati (e personalmente tradotti) a suffragio delle proprie tesi. Si tratta di una lettura agile e gustosa, impegnativa quanto basta, capace di ridestare antiche passioni e, soprattutto, di interrogare il lettore sul significato di studiare, ancora oggi (e diremmo domani e sempre) la lingua in cui sono uscite meraviglie come l’Eneide, il De rerum natura, le Metamorfosi, il De amicitia, ecc. La stessa lingua, peraltro, che è stata per secoli idioma comune nel bacino del mediterraneo fino al nord della Britannia e al Medio Oriente, anticipando quel che è oggi, in chiave ancor più globale, l’inglese. Gardini non segue un rigoroso ordine cronologico, anche se l’architrave del volume poggia sulla linea della storia, divertendosi a sortite in avanti e ritorni, così come mischiando i generi (l’orazione, il resoconto di guerra, la poesia nelle sue molteplici forme, l’elegia, la satira, il trattato filosofico ecc.) riesce a tenere desta l’attenzione ed evita il rischio di un eccesso di schematismo.Il capitolo finale, quindi, intitolato Elogio a mo’ di congedo della lingua inutile, è un vero e proprio accorato atto d’amore nei confronti del latino e meriterebbe di finire sulle scrivanie dei tanti malcerti riformatori che negli ultimi tre, quattro lustri hanno tentato di ridurre in riserve sempre più strette lo studio delle lingue classiche (latino e anche greco, quindi), ragionando su malintese concezioni di utilità e inutilità, quando l’unica vera ragione per studiarli (Cicerone, Cesare, Orazio, Lucrezio, Seneca, Tacito, ecc. ) resta una sola: «Perché è la lingua di una civiltà. Perché nel latino si è realizzata l’Europa. Perché nel latino sono scritti i segreti della nostra più profonda identità e quei segreti si vuol poterli leggere».

Nicola GardiniViva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutileGarzanti, Milano 2016, pp. 236, euro 16,90

© RIPRODUZIONE RISERVATA