Il ghetto di Zangwill, “finestra” sul mondo

Da sempre simbolo di segregazione, nei racconti di Israel Zangwill (giornalista londinese, nato nel 1864 da una famiglia di ebrei russi) il ghetto diventa un confine da valicare, un mondo separato dalla città dei gentili ma dotato di porte e finestre, da cui sbirciare cosa c’è al di là del muro. Così come l’universo fisico, anche il panorama interiore dei personaggi che popolano questi otto racconti è attraversato da una linea di frontiera: di qui il rigore della legge sabbatica, gli zelanti studiosi del Talmud, l’incrollabile devozione delle “mami” ebree; di là, oltre le porte del ghetto, il fascino di una Venezia cattolica, decadente e peccaminosa allo stesso tempo, il sogno di riconciliare le due religioni, le ragioni del cuore opposte a quelle dell’intelletto. Alternando il registro epico, comico e tragico, Zangwill dischiude al lettore contemporaneo le inquietudini di un popolo che non ha ancora conosciuto la tragedia dell’olocausto, ma che già sente l’urgenza di abbattere il recinto ideologico che lo tiene dolorosamente separato dal resto del mondo.

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Israel Zangwill, Racconti del ghetto, Ugo Guanda editore, Parma 2014, pp. 232, 17.50 euro

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