Il cielo senza colori su San Pietroburgo

Ingo Schulze, nato nel 1962 a Dresda, nell’ex Germania dell’Est, esordì nel 1995 proprio con questi racconti dedicati alla più letteraria delle città russe, San Pietroburgo. Dopo quell’anno, Schulze è stato incensato dalla critica internazionale come una delle voci europee, e non solo, di cui si sarebbe conservata memoria nel XXI secolo. Bene fa, dunque, Feltrinelli a ripubblicarne l’opera prima, a poco più d’una decina d’anni da quando Mondadori la introdusse in Italia. I quadri narrativi ispirati alla città che la Rivoluzione d’Ottobre aveva ribattezzato Leningrado, sono collocati temporalmente all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, e recano con sé sia il senso del grottesco e del surreale che caratterizzava le brevi prose di Gogol, sia lo strabismo di uno sguardo altro - tedesco - esercitato su dei costumi di vita a esso estranei eppure prossimi, in cui i bisogni elementari dell’umanità possono rispecchiarsi come tali. Gli sviluppi della Russia degli ultimi dieci anni, assieme all’inalterabilità di alcuni tratti del carattere nazionale, sono tutti contenuti negli schizzi abbozzati da Schulze, sui quali paiono vegliare, come sentinelle, gli angeli dorati della cattedrale di San Pietroburgo: la violenza efferata, l’amore filiale, l’inclinazione al sacrificio e al misticismo, la riconoscenza degli umiliati e offesi nei confronti di chi tende loro una mano, lo spaesamento innanzi a una democrazia che non ha mantenuto le promesse. Se d’altra parte un’idea di felicità è tramontata, dice uno dei personaggi, non resta che la possibilità di desiderarla: «Non vuoi conservare il desiderio della vita?».

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