Il banchiere inappetente e la bella nipote

Poppée è una giovane donna che ama la vita e si gode le gioie della vita senza troppi pensieri di contorno. Anzi, lei «non pensa affatto. Le sensazioni e il loro ricordo si stratificano in lei come ere geologiche, con le loro conchiglie e le loro felci». E non pensa, Poppée - un nome e un programma, sin dalla nascita avvenuta in una congiunzione astrale nel segno di Bacco e dell’abbondanza - nemmeno al fatto che l’amato zio banchiere Charles, da cui è solita ritirarsi dopo aver lasciato l’ennesimo fidanzato dai padiglioni auricolari divenuti

all’improvviso intollerabili, non è soltanto un parente, ma è prima di tutto un uomo. Un uomo integerrimo, quasi asceticamente concentrato sul suo lavoro di direttore di una prestigiosa banca privata elvetica, che al cospetto della bella e sinuosa nipote, lentamente ma inesorabilmente si scuote e cambia pelle fino a stravolgersi. E a mutare scandalosamente abitudini e costumi non prima di avere patito i tormenti di un’improvvisa anoressia. Malanno scatenato dal disgusto improvviso per la carne suscitatogli dal vedere una lucertola ingurgitare una grassa mosca verde e di lì peggiorato - fino a trascinarlo in un letto d’ospedale - alimentato dall’assenza della rigogliosa congiunta, la cui risposta a un invito tarda troppe settimane ad arrivare. Sta tutto in questo strano quanto semi-incestuoso rapporto (in realtà Poppée è figlia della sorellastra di Charles), il succo di questo strepitoso racconto di Pierre Girard, finanziere prima ancora che scrittore, vissuto a Ginevra tra la fine dell’Ottocento e il 1956, tradotto per la prima volta in italiano dall’editore svizzero Casagrande per le cure raffinate di Camilla Diez. Una vera chicca, che si legge in un fiato e che gronda di talento in ogni pagina. Humour, sarcasmo, fantasia, coraggio, poesia, estro. Non manca davvero nulla alla penna di questo - per noi - misconosicuto autore svizzero, datosi alla letteratura in età matura dopo un passato nell’alta finanza e che nel 1944 tirò fuori dal cilindro queste folgoranti pagine dedicate al banchiere inamidato e compunto che si infatua fino quasi a morirci della giovincella svagata e leggera. Un amore, se tale può definirsi, che brucia nel cuore del fin lì freddo speculatore ginevrino, al punto da indurlo a mollare proprietà e impegni per unirsi alla giovane donna, che a dispetto di ogni attesa lo corrisponde, attratta dalle di lui orecchie: unici “esemplari” mascolini che dimostra di gradire. Trama a parte, che pure regala spunti di attualissima riflessione sulle nefandezze - ieri come oggi - di certi ambienti dell’alta finanza, il racconto si fa apprezzare anzitutto per la scrittura, rivelatrice di un talento e di una cultura non comuni, quest’ultima cresciuta nel mito classico ma mai risolta in sterile erudizione. Un passo, fra i tanti, a dare un’idea di questa magia: «L’autunno avanzava. Il naufragio dell’anno era cominciato nel rumore di risacca delle foglie secche. [...] I poeti non lavoravano più, per la gioia dei giornalisti che trovavano fra le proprie parole aggettivi disoccupati e inoperosi. Questo periodo dell’anno è per eccellenza quello dei banchieri e degli astrologhi [...] Talvolta un cliente, di notte, sdraiato insonne nel letto, si alzava, ascoltava dalla finestra socchiusa... Che cosa? Il levarsi del vento, la carezza tardiva della pioggia o il mormorio del destino che scorre? Talvolta il filo d’acciaio del tempo morde il cuore. Se si scarta la preghiera, se si rifiuta la pazienza stoica, c’è un solo rimedio: combinare investimenti». Che dire di più, compratelo. Ne vale davvero la pena.

Pierre Girard, Il banchiere non gradisce le bisteccheCasagrande, Bellinzona 2012pp. 115, 16,20 euro

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