Anna Andreevna Achmatova (pseudonimo di Anna Gorenko, Odessa 1889- Mosca 1966) è una delle poetesse europee di lingua russa più importanti di tutti i tempi. Dagli anni ’50/60 del secolo scorso numerose sono in Italia le prove di traduzione con contrastanti esiti. Difficile rendere della poetessa - di una concretezza e felicità linguistica insuperabile e dal padroneggiamento dei classici antichi e moderni, fra cui Dante che leggeva, come altri autori e letterature in lingua originale - tangibilità delle cose e dei sentimenti nella lingua poetica italiana. Buona è questa traduzione e scelta di Paolo Galvagni che coniuga rigore e qualità plastiche. Poche poesie scelte dagli anni Dieci al poemetto Requiem degli anni ’30, agli anni ’60 del secolo scorso, poesie fra passione, disincanto e tragedia ed in filigrana le vicende di un popolo e quelle dei destini di tutti in una notevole ampiezza di registri. Significativa la testimonianza di Viktor Krivulin del 1960 che Galvagni porta nella sua nota: «Già allora avvertii la natura particolare dell’umorismo achmatoviano. Quasi tutto quello che lei diceva si poteva interpretare in due modi diversi ambiguamente. Quanto più la frequentavo, tanto più evidente era il fatto che ogni sua affermazione poteva essere letta nel senso opposto. Era un’ironia rivolta al tempo, a se stessi, al contemporanei e al passato e, naturalmente, a noi. Un’ironia totale sorprendente, si può dire celestiale, mozartiana». Per tutte le poesie della raccolta: «Non sarai tra i vivi, / non ti alzerai dalla neve. /Ventotto colpi di baionetta, / cinque di fucile. // Cucivo io all’amico / l’amara veste nuova. / La terra russa / ama, ama il fresco sangue».
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