Evocatore di un mondo passato bisognoso di libri, fatto di relazioni umane e contatto con la natura, quello scritto da Peter Handke è un lungo racconto scritto con passione sui bambini introvabili, sulle colpe dei padri, sul dolore, sull’amore, ambientato in un paesaggio al di là del tempo e dello spazio. Un viaggio nella memoria dallo stile colloquiale ed enigmatico, dall’atmosfera triste e nostalgica, dove i contorni sono sfumati. È il ritorno dalle luci abbaglianti della città alla propria terra, dalla natura ancestrale, di una cantante ormai famosa che rivede la madre e si tormenta per il figlio scomparso dieci anni prima. In modo graduale si disvelano personaggi, rapporti e vicende tra sogno e realtà, passato e presente, in un procedere impalpabile di immagini, quadri in movimento, metafore di una vita da migrante. E sulla nave dei migranti, in fuga dalle miniere di sale, la cui montagna incombe minacciosa e affascinante, scorrono i pensieri di un’umanità dolente piena di sogni e illusioni, e la prosa si fa verso. Il mito: la montagna di sale nella riva opposta...il rumore del sale e musica...tanta musica, evocatrice di odori ed emozioni dell’origine. Con sensibilità lo scrittore rende la condizione di chi è naufrago: lo sarà per sempre, disorientato e senza sogni. Ma la discesa nelle profondità della terra di due anime, segnate dal più profondo dei dolori, rappresenta l’ultima possibilità di espiare una colpa che le unisce e che le farà risorgere nell’inno finale: una luce nel buio dei labirinti della montagna di sale, che accoglie ed è madre essa stessa. Perchè è possibile smarrirsi...ma anche ritornare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA