I gerarchi nazisti nei “ritratti” di Rebecca West

Leggi le prime pagine di questo magnifico libro e capisci subito cosa vuol dire saper scrivere. E soprattutto saper descrivere. Perché in poche, fulminanti righe, Rebecca West (pseudonimo di Cicily Isabel Fairfield), giornalista e scrittrice britannica vissuta fra il 1892 e il 1983, tratteggia con rara sapienza, efficacia e plasticità le figure dei gerarchi processati a Norimberga per gli orrori compiuti durante il nazismo. Pochi colpi di pennello, subito in attacco di volume, e il lettore si trova immediatamente calato nel tempo e nello spazio nella città tedesca dove, nel 1946, si chiusero i conti, almeno sul piano della giustizia penale, con la follia hitleriana. Come in un film l’autrice mostra davanti agli occhi il “girato” delle fasi finali del processo, quando ormai è chiaro a tutti - giurati, imputati, osservatori, giornalisti - che per i sodali più stretti del führer non c’è altro destino della pena capitale. Bastano un paio di “profili” a chiarire il concetto. Ecco Hermann Göring, per esempio, a pagina 10: «[...] Era talmente morbido. A volte indossava una divisa delle Forze Aeree Tedesche, e a volte un abito chiaro da spiaggia nel peggior gusto faceto, ed entrambi gli stavano larghi, dandogli un’aria di donna incinta. Aveva capelli spessi, castani, giovani, la pelle ruvida e chiara di un attore che per decenni ha usato tinte grasse, e le rughe straordinariamente profonde del drogato. Sommato, il tutto diventava qualcosa come la testa di un fantoccio da ventriloquo. Sembrava infinitamente corrotto, e si comportava ingenuamente».E così viene invece descritto Rudolf Hess, una pagina prima: «Era notevole perché era così evidentemente pazzo: così evidentemente, che sembrava una vergogna processarlo. Aveva la pelle cinerea, e quella strana facoltà, tipica dei lunatici, di piombare in posizioni forzate che nessuna persona normale potrebbe mantenere per più di pochi minuti, e immobilizzarsi nella contorsione per ore. Aveva l’aria caratteristica degli ospiti dei manicomi, di non appartenere a una classe sociale precisa; evidentemente la sua personalità sconvolta aveva lacerato ogni legame col proprio passato. Sembrava che la sua mente non avesse superficie, come se ogni sua parte fosse stata spazzata via da un’esplosione, tranne l’abisso dove vivono gli incubi». È raro leggere ritratti più efficaci, capaci di andare oltre l’aspetto di una persona ma partendo proprio da quello; evidentemente era una dote di questa poco conosciuta scrittrice inglese, di cui soltanto oggi possiamo leggere in italiano (nell’ottima traduzione di Masolino D’Amico) lo splendido romanzo-reportage realizzato a Norimberga nel 1946. Con uno stile asciutto, sarcastico e ricco di immagini paradossali, l’autrice non offre soltanto la “fotografia” dei gerarchi tedeschi nell’atto pubblico finale della loro esistenza, ma permette anche di toccare con mano la situazione della Germania dell’immediato dopoguerra, un Paese certamente prostrato, ma impegnata con tutte le proprie forze a trovare una catarsi al male commesso. Rebecca West tornerà altre due volte in Germania, tra il 1949 e il 1954, descrivendone vividamente l’incredibile ripresa economica, nonostante le pesanti costrizioni imposte dai paesi vincitori, i conflitti interni fra gli alleati, i 10 milioni di esuli che si sono riversati sulle sue terre... Emblematicamente, allora, l’anziano giardiniere con una gamba sola, tutto preso dalla sua serra e dalla coltivazione di ciclamini da mettere in commercio, diventa per West il simbolo di questa ripresa: «Era fuggito in un’altra dimensione, in cui il dolore non aveva potere su di lui. Era fuggito nel suo lavoro».

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Rebecca West, Serra con ciclamini. Il processo di Norimberga e la rinascita economica...(traduzione di Masolino d’Amico) Skira, Milano 2015, pp. 167, 16 euro

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