I destini di Ozpetek: cinema e romanzo uniti “in un respiro”

Il terzo libro del regista turco, romano di adozione, è una storia che mischia sentimenti e thriller

Due sorelle, due Paesi, una patria lontana, tante lettere inviate con la certezza che non ci sarà risposta. Ferzan Ozpetek ha scritto “Come un respiro” - il suo terzo romanzo - senza staccarsi dal suo cinema. Naturalmente. Non è una sceneggiatura, non è la “trascrizione” di uno dei suoi film, ma a questi finisce per essere indissolubilmente legato questo libro che è una storia autonoma ma è tutte quante le sue storie messe insieme sulla carta.

Una tavola imbandita per il pranzo, un gruppo di amici, una visita improvvisa, e il passato che ritorna. In questo caso è quello di Elsa - la misteriosa donna che si presenta alla porta - e di Adele, sua sorella da cui (scopriamo) è separata da anni. Come in tutte le storie di Ozpetek c’è una casa a tracciare i confini della vicenda, ci sono i muri che non solo “contengono” ma trasudano, rimandano, ricordano i fatti, gli accadimenti. E ci sono personaggi che nel corso dello scritto (del romanzo in questo caso) evolvono, in un misto di nostalgia, ricordo del passato, dramma e un po’ di commedia umana.

Ritroviamo insomma tutto intero il regista di “Le fate ignoranti” e “La finestra di fronte” in “Come un respiro” e questo non deve apparire come una “diminutio”, un limite per un giudizio negativo. Il romanzo - per quanto legato alla poetica del regista turco trapiantato a Roma - ha una sua autonomia e una vita propria. Perché è un dramma che sa toccare le corde giuste ed è avvincente come un thriller, che conquista il lettore e “chiede”, pretende, che si vada avanti nella lettura, per scoprire il passato di Elsa e di Adele e il destino dei personaggi che solo in apparenza sono una cornice alla loro storia. Tutto quanto è ammantato di mistero e di nostalgia, mentre piano riemergono dal passato i fatti, mentre prendono forma i ricordi delle due sorelle. Come a dare una risposta a quelle lettere che una risposta non l’avevano avuta. Le radici, Roma fuori dalla finestra, Istanbul lontana, le ferite mai rimarginate. «Mi sembra di vederti» scrive Elsa e lo stesso capita al lettore, che si gira tra le mani la fotografia ingiallita che ritrae i protagonisti.

Il passato avvolto in una nebbia leggera, il presente con cui fare i conti e il destino, appunto. Il come sono andate le cose, quali sono state le scelte, le singole decisioni, i fatti accaduti che hanno portato tutti quanti a questo punto. Mentre la vita correva e passava troppo velocemente, come un respiro. Come il soffio di un vento caldo sul Bosforo che accarezza il viso.

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