I contorni delle cose alla luce della poesia

Più che dalla dimensione visiva questi contorni delle cose sono contraddistinti da quella enunciativa. La ferma “voce” poetica di Rabissi declina il difficile confronto di io, tu, noi. Come nella messa a fuoco ci si dispone a un gioco di avvicinamenti ed allontanamenti, così la voce di Rabissi ha bisogno di mettere distanze, di porsi nella possibilità o nell’impossibilità d’echi, nella prensilità o nella dissipazione del suono. Ecco allora una poesia che si svolge per la maggior parte nell’ordine del considerare, del soppesare, del constatare, del dire. Più che un prosciugato “Diario sentimentale” è questa una successione di occasioni del considerare; queste poesie di Rabissi sono una serie di apologhi sulla capricciosità della sorte, sull’indecidibilità degli eventi, sull’instabilità ed incertezza del vivere, sullo sfaldarsi delle cose in tempo instabile. Ferma invece è la voce di Rabissi che come scrive Maurizio Cucchi nella prefazione al libro; «possiede la virtù della pazienza e della limpidezza onesta dello stile. [...] Il poeta annota i passaggi di una vicenda immersa nel teatro cittadino, di cui i protagonisti percorrono vie secondarie, luoghi discreti ed opachi; una vicenda segnata dal variare degli umori e delle stagioni, perché il tempo sembra essere, nel suo scorrere indifferente ai nostri ambiziosi soprassalti». Per tutte le poesie: “Come l’inverno del cavalcavia”: «Te lo tieni / lo sguardo caparbio / come se i prati di papaveri / a piazza Corvetto fossero lì. / Sarà una fantasia a fiamme fredde / come l’inverno del cavalcavia / che abbrevia la luce. Basterà / per scaldare la scena. Poi / cambieranno i fondali di nuovo. / Lo tieni a te / lo sguardo caparbio di fiabe».

© RIPRODUZIONE RISERVATA