Hitler è tornato, ma il mostro adesso fa ridere

Adolf Hitler non è mai morto suicida nel suo bunker. Si è soltanto addormentato, per più di mezzo secolo, e si risveglia in un tranquillo pomeriggio del 30 agosto 2011, a Berlino. Questa la premessa di un romanzo che ha riscosso un successo internazionale, oltre 600mila copie in Germania e traduzioni in 25 lingue, si dichiara nel risvolto, il cui autore, Timur Vermes, classe 1967, ha saputo sfruttare al meglio e fino alle estreme conseguenze il paradosso della vita postuma del Terzo Reich. L’ironia e le battute esilaranti abbondano nel corso di una narrazione che si distingue per prosa limpida e dialoghi nutriti di doppi sensi, in cui le persone che circondano il vecchio e nuovo Führer mostrano un atteggiamento di scherno insieme a un velato sentimento di rispetto. La delirante cocciutaggine del signor Hitler alle prese con un paese percepito come stravolto e decaduto ne fa un buffone che tuttavia riesce a conquistarsi un’istintiva simpatia e un certo seguito, quasi che il suo autoritarismo, benché stralunato e delirante, custodisca in sé un potere magnetico, un misterioso fluido che ne rende la f

ollia appetibile. Comici e giullari, sembra ammonire questa parabola surreale costellata di riferimenti alla contemporaneità, sfuggiti dai palcoscenici ed entrati con dispotica veemenza nella storia, non sono innocui come si potrebbe credere: e proprio il giocare sul crinale dell’ambiguità tra serio e faceto, grasse barzellette e invettive puntuali, li rende temibili strumenti di un potere occulto, che indora il piatto preferito per meglio sedurre la platea. Non si tratta di allargare la censura nei territori della satira, ma di distinguere ambiti e non lasciare che sotto la campana della libertà di pensiero si disinneschi il pericoloso arbitrio, mai inoffensivo, del volgare. Che la forma non sia sostanza è uno dei più disastrosi equivoci della vita sociale, la premessa alla sparizione di ogni ruolo meritato in un’arena dominata da pagliacceschi tribuni della plebe. Questo Hitler che passeggia per Berlino in tenuta militare, senza casa e documenti, rivendicando ad ogni occasione le sue prerogative e la sua vera identità, è il mostruoso giullare di un circo che somigliare alla realtà. L’isterico Adolf finisce per diventare la star di un programma comico televisivo, e dopo le prime battagliere intolleranze dei media antagonisti e degli scandalizzati rappresentanti di istituzioni democratiche, viene accettato come un fenomeno che grazie a una caricatura tanto perfetta protegge la società dalle orrende derive che lui stesso incarna. Un’ambiguità, certo, che Timur Vermes lascia aperta, senza delineare una vera e propria fine della storia del Führer redivivo, ma fermandosi al punto in cui il comico di perfetta scuola Stanislavskij viene corteggiato da un vasto gruppo di editori e movimenti politici, ghiotti della sua crescente popolarità. Lui è tornato è un romanzo spassoso e intelligente che racconta, in fondo, come la mediocrità doverosamente caricata di lustrini ed echeggiata dai suoi troppi media possa ridurci a servi imbambolati di malefiche illusioni.

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Timur Vermes, Lui è tornato, Bompiani, Milano 2013, pp. 443, 18.50 euro

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