Gli eroi surreali sugli scaffali di Barbolini

Una raccolta di saggi venati di scintillante ironia e animati da costante verve narrativa, una collezione di private memorie, di passioni per libri, autori e indimenticabili eroi romanzeschi. Sublime e infernale, popolare ed eccelso: tutto si armonizza e mirabilmente congiura in una traversata divertita e sapiente, costellata di gangster e pirati, tra sordidi marciapiedi di babeli asfaltate, palme dei tropici e incantevoli spiagge perdute. Si tratta di pagine, queste raccolte nel ricco volume pubblicato da Galaad, in cui Barbolini, ovunque aggiusti la mira, che mostri un’anima dotta o scherzosa, seduce e diverte, avvicinando personaggi e autori quasi fossero nostri fratelli maggiori, smontati dai piedistalli delle stucchevoli discettazioni e scoperti in un’umanità autentica, disadorna, spesso dolente. L’ispirazione riparte ogni volta dal basso, nell’idea e nella pratica di una letteratura che preme e riguarda da molto vicino, che tiene a distanza di sicurezza gli epigoni indaffarati nelle maniere e i prigionieri delle troppe divinità commerciali. Si dischiude così la biblioteca di un lettore eclettico e spregiudicato, che spazia volentieri dal giallo al comico all’avventuroso, capace di apprezzare la cifra del classico anche dove l’illusoria cortina del genere sembrerebbe appannarla. Ecco allora farsi largo Dashiel Hammett, sorpreso in un dolente tramonto, asserragliato in campagna a leggere Engels e il Dracula di Bram Stoker alla tartaruga Willy; Raymond Chandler, ossessionato dallo slang americano, mentre prende lezioni dai carcerati di San Quintino e dai borseggiatori newyorkesi, o Chester Himes, nero di rabbia, che racconta una Harlem sempre più simile a un’apocalisse di Hieronymus Bosch. I maestri del noir e dell’hard-boiled accanto agli immancabili Conan Doyle e Poe, al valoroso drappello degli emuli e alla discutibile fiumana di epigoni. Quindi Stevenson, Salgari e Verne, con un capitano Nemo che nell’amniotica atmosfera del Nautilus spia dal suo piccolo oblò spalmando l’abisso marino sulla superficie di un occhio viaggiante che gli assicura una straordinaria facoltà di nomadismo sedentario. Ma anche Charles Williams e Tolkien, e ancora Dracula a braccetto con Don Giovanni, congiunti da un simile anelante malessere, insieme a un ampio ventaglio di considerazioni sull’infinito gioco del doppio, lo sguardo estasiato del puer, il cannibalismo virtuoso e l’autofagia rituale in letteratura. Fino all’elogio dell’humour, alla bicicletta scassata di Giovannino Guareschi, alla lacerante poesia di Antonio Delfini e all’indicazione di una via irregolare e autorevole che sappia osteggiare il dominio del triste mercato e rinnovare la nostra migliore tradizione nel ribollente crogiolo dei linguaggi attuali. Si tratta di un’idea dello scrivere, ma anche una capacità di attenzione e di ascolto fortemente vitali, prensili, che non temono di contaminarsi con la congerie del contemporaneo, per cui il puro e antico ideale di bellezza deve scendere da un piedistallo marmoreo e riscoprirsi in nuove insolite metamorfosi. Una bellezza che può insinuarsi quasi per sbaglio tra la babelica folla di quei funerali di Pavarotti rievocati in un passo del libro, spintonando tra kitsch e sublime, opera e rock, così da mostrarsi con quella maschera d’angelo «che sapeva di fango e di tango, di bassifondi e coltelli, di sudore e di stelle» affibbiata con una battuta, oltre mezzo secolo fa, a tre vecchi campioni di calcio argentini, Sivori, Maschio e Angelillo.

Roberto BarboliniAngeli con la faccia sporcaGalaad edizioni, Giulianova 2016, pp. 300, 15 euro

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