«Mia madre non vuole / l’immagine allo specchio / ed io non ho mai dato resto / al conto della bellezza. / La gola è secca / e non confessa le colpe, / l’unica vanità permessa / oggi / è guardarla / ma nessuno sa / quando il lupo sbrana» Dopo il poemetto Olio (LietoColle, 2007) e le poesie in romanesco, Capalbi continua la sua vena narrativa, approdando ad una “microepica” di soggetto familiare, a quadri, con risvolti psico-sociologici e testimoniali. Giustamente Anna Maria Carpi, poetessa, germanista e russista di vasta materia e di esiti eccellenti, nel concludere la sua prefazione, circoscrivendo un’analisi in dettaglio fatta di riflessioni e rivolgimenti maschile/femminile, afferma: «Questa volta il femminile si è svincolato dalla tradizionale soggezione al maschile e non è più soccombente: ma non è la felicità, tutt’altro, siamo “all’angolo del precipizio”, a un balenare di tatuaggi e di smaccati colori, unghie laccate, di verde, moda di un “giallo da due soldi”, “prato viola del pudore”, che non ingannano sulla realtà di “un’unica solitudine” divorante. Come si vede, la raccolta dà un piccolo rendiconto storico dei nostri anni». La lingua è chiara ed enunciativa, segue il dettato psicologico e testimoniale senza interventi “fuori campo” e “di retro-camera”, tutto è diretto e detto con garbo, anche nei sottolineati e nei “garbugli” della mente, nei corto-circuiti dell’esistenza e nella “rubrica” desolante della massificazione e dello spettacolo. «Le periferie sono tutte uguali / come foreste pietrificate / dove i ragazzi, / con i pantaloni larghi e il cappuccio, / tracciano il territorio / divorati da un’unica solitudine. / Il quotidiano è un lusso / della sceneggiatura».
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