Filomeni, versi aspri e di (dantesca) denuncia

L’acqua, si sa, è elemento elastico, incomprimibile, fluido e metaforicamente onnipervasivo. Scardinare l’acqua, il volume d’esordio di Rita Filomeni, con una prefazione di Guido Oldani, è un riuscito esempio di poesia civile. Sulla scia del prefatore la Filomeni in queste rime “guerriere” e in un certo senso “amorose” ingaggia un fitto dialogo e una tenzone con il reale che ci circonda e sovrasta. Il riferimento alla tradizione dantesca è immediato non solo per i toscanismi e per la tensione metrica, per un’immaginazione plastica in una sintassi spesso convulsa e serrata, ma soprattutto per la tensione fra etica ed estetica, per il bisogno di una presa diretta nei confronti del mondo e del reale, di aderenza alle cose del dettato linguistico, di un dire e di un fare, insomma di un’azione poetica. In tal senso l’autrice parla di “archeologia del presente” nella sua breve nota di poetica e di «inseparabili fatti di una vita e di un’epoca perversa, segnate dalla non misura con cui si è imparato a guardare e misurare le cose, queste poesie – leggibili in una punteggiatura visibile ed invisibile – rappresentano il prezzo pagato e deciso a pagare per un dovere: la libertà». Fra tutte le poesie una eponima dalla sezione “acqua”: «a cielo basso da non rizzare ’l collo // piove, e pur se piove, lui sa di steppa / ’sto paese, che anche l’acqua appalta, / e c’è chi a pegno dà già il suo sangue // sì ‘n nome d’un progresso maialesco / che cosche le cèntupla e nere e rosse, / a tutti ‘l dovuto, scelti i pochi, è dato / non oltre così, no, non si può andare, / è merce tutto e quota, a salvafinanza, / ma verrà ‘l dì cui a spegnere sterpéti // sputi a chieder saremo noi a i profeti».

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