Donne e madri, nonostante drammi e dolori

Margherita vuole un figlio disperatamente e corre fino a Barcellona a cercarlo. Giovanna invece non sapeva nemmeno di volerlo e scopre di essere incinta. Monica invece ha appena iniettato la speranza nel suo ventre con un’inseminazione. Ma la sua attesa è sporcata e offesa da una violenza terribile. Viene brutalmente violentata in metropolitana. Claudia, di figli, ne ha due: sono due bambine. Le ha cresciute con tutto l’amore possibile e ora è costretta a lasciarle. Sta morendo. E poi ci sono Adele, una nonna alle prese con il coma della nipote Lara, e Maryam, (una sorta di alias della Madonna) giovane costretta a scappare dal suo paese per il figlio che porta in grembo. E che si trova a condividere la traversata del terrore con una p

rostituita che le fa da madre e si vende per lei agli aguzzini pur di pagarle il viaggio. Donne alle prese con il loro essere madri, per sempre. E vite graffiate, deluse, tormentate dove il sogno e il desiderio si intrecciano con una realtà spesso troppo dura da accettare. Si chiama E poi madri per sempre l’esordio di Maria Grazia Giordano, edito da Compagine. Nata a Lodi, 46 anni, un marito e due figli, una laurea in legge, l’A. ha sempre vissuto nei dintorni di Piacenza, dove, da quando è nato il secondogenito, ha deciso di dedicarsi all’essere moglie e madre. E il suo esordio passa tutto da qui: dall’essenza di essere madri, dall’amore incondizionato verso i figli che trasforma esistenze, dà senso al caos, è esperienza salvifica perché solleva dall’orrore. Anche forme e tempi della narrazione sembrano a misura di madre: il tempo degli eventi viene compresso in pochi flash, le parole scelte sono pesate per essere lapidarie, eterne, come le scelte da cui non si torna indietro. La formula è quella del racconto spezzato, con poche pagine dedicate alla narrazione della vita di ciascun personaggio, per poi passare al successivo e ricominciare da capo, costruendo un cerchio in cui le vite delle sei donne si intrecciano e si specchiano. Alterna il racconto in terza persona, raro e usato per descrivere i fatti, come l’arrivo di Monica in ospedale dopo lo stupro in Metro, a quello in prima persona, con voci e pensieri di tutte le protagoniste, trascritti come in un flusso ininterrotto che assume i contorni del sogno. Parole che spesso sono di disperazione, come quelle di Monica all’indomani di una violenza che le porta via sonno e respiro. «Per quanto strofini, continuo a sentirmi sporca. Sono smarrita nel mio corpo. Il mio grembo è stato rubato. […] Non toccarmi amore. Non starmi accanto. Non consolarmi. Ho solo bisogno di me. Devo ritrovarmi. Attraverso il mio corpo, lo esploro. È una landa sconosciuta. Desolata e fredda. Il mio ventre forse custodisce un segreto». O come quelle di Claudia, che sta morendo e vorrebbe rinunciare all’accanimento terapeutico, ma accetta le cure per tenerla in vita: «Io non vorrei vivere così come sarà, appesa ad una macchina. Appesa ad un’illusione di vita, ma per le bambine resterò appesa a quell’illusione, per tutto il tempo che loro vorranno, di cui avranno bisogno. Mi sono convinta che, per loro, un simulacro di madre sia meglio che nessuna madre». L’essere madri, però, è anche gioia allo stato puro, come quella di Margherita, quando scopre lo sfarfallìo di un cuore nel suo ventre. «Guardo ogni cosa con occhi che non sento più miei. […] Lasciatemi così ancora un po’. Non risponderò al telefono. Non aprirò alla vicina. Non muoverò un muscolo. Non sono solo io. Trasfigurata, inebriata. Invasa. Non poserò le mani sul ventre. Non è là. Non solo. È in tutta me. Nelle mani, negli occhi. È il respiro».

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Maria Grazia Giordano, E poi madri per sempre, Editore Compagine, Torino 2013, pp. 169, 10 euro

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