Donne che venivano dal mare d’Oriente

Un libro davvero coinvolgente, tutto di storie prese dalla realtà e che si leggono come un romanzo corale, scritto con grazia che, per noi, è facile definire giapponese. Un libro che racconta alludendo e facendo immaginare molto più di quel che riferisce, nella inusuale e felice scelta della seconda persona plurale, noi. Erano chiamate “spose per fotografia”, donne giapponesi (ma lo stesso accadeva con gli italiani), che in gradissimo numero furono riscattate per corrispondenza da loro connazionali emigrati in America dai lavori cui erano state vendute dai genitori, contadine in risaie, operaie in manifatture, geishe, e spedite per nave a San Francisco, dove pensavano le aspettasse una vita nuova e migliore e invece avrebbero, in genere, avuto una brutale delusione. Siamo nel 1919 e, su quelle navi affollate, le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei bei e eleganti mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguiva l’arrivo in America, la prima notte di nozze, la lotta per la sopravvivenza, il lavoro sfibrante, le difficoltà di imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l’esperienza del parto e della maternità, per alcune il tentativo di ribellione e fuga, magari pagato con l’avvio alla prostituzione, e soprattutto poi il devastante arrivo della guerra, con l’attacco di Pearl Harbour e la decisione del presidente Roosevelt di considerare i cittadini americani di

La copertina del libro

origine giapponese come potenziali nemici e chiuderli in campi di concentramento. Quest’ultima esperienza Julie Otsuka l’aveva raccontata nel suo primo libro, Quando l’Impero era Divino rifacendosi alle storie della sua famiglia, e ora torna sulle vicende di quelle donne in un affresco più generale, scritto con una voce corale dall’andamento sincopato, musicale, nel ricostruire e seguire la vicenda eccezionale di tutte queste donne, cominciando proprio dal loro collettivo viaggio della speranza attraverso l’oceano Pacifico.

La non facile scelta narrativa di procedere in nome di una voce collettiva, il «noi», si rivela subito di grande forza e impatto emotivo, grazie alla dolcezza, al gioco di sfumature, quasi da acquarello giapponese (la Otsuka, nata in California, è stata anche pittrice) in un trascolorare continuo e profondo di sentimenti, dall’illusione della speranza, al rimpianto, la nostalgia, la paura, la sofferenza e la fatica, sino al terrore e l’incertezza del proprio destino, scoppiata la guerra.

Un libro di una misura inusuale oggi, specie per raccontare una simile odissea di migliaia di donne: 140 pagine che ci introducono in un mondo, una sensibilità, una realtà particolari, diventando naturalmente, senza bisogno di esternazioni e specificazioni, denuncia del modo di rapportarsi all’altro, del razzismo dell’America del Novecento, dello sfruttamento di manodopera, della sofferenza della condizione femminile.

When the Emperor Was Divine, uscito nel 2002, entrò in classifica con duecentosessantamila copie vendute negli Stati Uniti. Con Venivamo tutte per mare, estremamente elogiato dalla critica americana per le sue qualità letterarie, Julie Otsuka ha vinto l’Asian American Literary Award e l’American Library Association Alex Award.

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