Di Gregorio ironico su “vite annodate” e desiderio di fuga

In “Lontano lontano” tre storie che parlano del rapporto madri-figli e della voglia di riscatto di tre anziani

C’è molto di autobiografico nei tre racconti di Gianni Di Gregorio, sceneggiatore e regista di tanti film tra cui “Pranzo di ferragosto”, sia nel rapporto con la madre delle prime due storie che nella tensione morale dell’ultima, “Lontano lontano”, da cui è tratto l’omonimo film presentato con successo al festival di Torino 2020. Situazioni strane e verosimili, tratte da vita osservata dove la beffa è dietro l’angolo, raccontano anche la perdita, lo spaesamento, la solitudine, ma sempre con estrema leggerezza. Nel primo mirabile racconto di questo romanzo di esordio un cinquantenne a Roma narra con autoironia una vita circoscritta alla sola cura dell’anziana madre. “…faccio ellissi sempre più corte… nel quadrilatero dove è nata Roma. Nelle otto orbite compio il giro dell’universo, lo concludo quando le loro diverse velocità, misurate secondo quelle prodotte dal movimento sempre identico e uniforme della madre e dai suoi comandamenti, raggiungono la sincronia e ritornano al punto di partenza, secondo la teoria di Platone. In altre parole, lei stabilisce le rotte, io girerò un po’ e poi mi ritroverò a casa seduto sulla seggioletta”. Divertente e pieno di tenera commozione, quando si sofferma sugli incontri tra l’anziana madre e le amiche, con racconti intervallati da referti medici e sberleffi, “frammenti eraclitei” in cui “si ricuciono strappi che lacerano il cielo, tutto si ricompone sui lembi di stelle come la carta del presepio…”. In quella Roma assolata, un caldo ombelico, tutti passano o son passati. Non si è mai soli, dove è passato anche Plutarco, dove si vive il tempo dell’oro e di Saturno mentre la campagna trascolora. Tutti attirati dall’incantesimo di una città benevola, immersi nell’illusione dell’immortalità in cui “ si brinderà e si ballerà con cimbali”. Nel secondo racconto l’ironia è ancora più graffiante: Emilio e i suoi fratelli sono caldamente immersi nel soffocante rapporto con una madre-chioccia che “garantisce armonia al fantastico gioco familiare”. Una lingua originale che unita a un linguaggio aulico dà luogo a un mondo lieve e tragico, com’è la vita. Il titolo del libro è quello dell’ultimo racconto: tre anziani disastrati vogliono cambiare vita fuggendo da Roma, una città lieve e generosa pronta a realizzare i sogni dei più disagiati e ad accettare debolezze. Un viaggio senza meta li metterà in gioco. Ce la faranno?

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