Criminalità globale nel thriller in valigetta

Ancora una volta Massimo Carlotto dimostra di essere all’avanguardia nel denunciare la realtà che stiamo vivendo. Come Pasolini, sembra dire “io so quali sono i colpevoli e cosa accade, ma non ho le prove”, quindi sceglie di raccontare tutto attraverso la finzione letteraria e la verità coinvolgente che può avere una storia ben scritta e di cui riconosciamo come familiari le avvisaglie nel nostro quotidiano, almeno quello di chi legge i giornali e cerca di essere informato. Dopo aver denunciato la realtà delle infiltrazioni malavitose nel Veneto e nell’Italia settentrionale con romanzi che vanno da Ciao, amore ciao a Nordest fino a Alla fine di un giorno noioso, suscitando anche reazioni violente quanto più toccava temi caldi, dalla delocalizzazione delle imprese ai legami con la mafia balcanica fino a certi giochi finanziari, oggi Massimo Carlotto porta alle estreme conseguenze quei discorsi e ci propone una storia sulla malavita “globalizzata” e organizzata in doppio petto.

«Se un uomo con la pistola incontra un uomo con la ventiquattrore, l’uomo con la pistola è un uomo morto» dice lo spot che lancia il libro, parafrasando una celebre battuta western da Per un pugno di dollari, uno dei capolavori di Sergio Leone. Ed è vero, come si scopre leggendo Carlotto, che ci convince perché sentiamo sempre, dietro i suoi racconti, un’indagine accurata, un’inchiesta vera e propria, che gli ha dato le basi e le conoscenze necessarie. I suoi non sono più, e forse non sono mai stati, dei veri e propri libri “noir”, di genere, ma romanzi che esplorano la parte più nera della società e che diventano letture avvincenti per la maestria di questo autore di thriller secchi, ben congegnati, con personaggi veri, con le loro umane debolezze e una salda spietatezza, che vanno dritti al segno, senza bisogno di divagare inutilmente, come in certi volumoni che vanno oggi di moda, ma restando nell’arco giusto di duecento pagine, che sono una misura aurea. Il tutto condito anche con un filo di ironia, se abbiamo un narcotrafficante messicano di Ciudad del Este che ha il nome di un celebre calciatore, Garrincha, ma fa un fatale errore nel giocare la sua partita più importante, e una poliziotta marsigliese le cui iniziali sono nientemeno che BB (Brigitte Bardot), fan di Halliday e lesbica; e poi un gruppo di quattro giovani dall’intelligenza brillante e dalla preparazione universitaria che vengono dai quattro angoli del mondo, Giuseppe, Zosim, Sunil e Inez, che si mettono in testa di sottrarre il potere ai padri senza sporcarsi le mani, ma usando le proprie conoscenze dei meccanismi finanziari, specie in un momento di crisi economica mondiale, con i relativi contraccolpi sociali. Il loro lavoro è comunque sporco, la cocaina scorre a fiumi, e, per esempio, uno dei perni della vicenda è una clinica in cui si commerciano ed espiantano organi, naturalmente “all’insaputa” dei donatori, poveri emigranti attratti col miraggio di un impiego. Ogni cosa avviene senza confini, sviluppandosi e collegandosi in più paesi, secondo un’ottica ormai da criminalità globalizzata, senza più un suo territorio specifico in cui radicarsi, senza cupole e “superboss”, ma capace di proliferare e infiltrarsi ovunque come cellule cancerose, andando dalla campagna radioattiva di Chernobyl a Ciudad del Este, dai campus inglesi alla Svizzera delle banche, anche se poi c’é un teatro principale di questa storia, che è Marsiglia, il porto francese amato da Jean-Claude Izzo e con una malavita resa celebre da tanti film, anche se ormai profondamente cambiata. E sarà bene rifletterci sopra.

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MASSIMO CARLOTTO, Respiro Corto, Einaudi, pp. 204, 17 euro

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