Carrisi cammina ancora sul confine tra il bene e il male

Con “Io sono l’abisso” lo scrittore pugliese stavolta tratta il tema della violenza sulle donne

Con “Io sono l’abisso” Donato Carrisi porta ancora una volta i suoi lettori alla scoperta delle sfaccettature più maligne, perverse e cattive dell’animo umano. Un altro viaggio nella sua ormai classica “zona d’ombra”, che però forse stavolta lascia un po’ di perplessità, magari perché da un campione di vendite ci si aspetta sempre qualcosa di trascinante e travolgente. Invece la storia è un po’ scontata, anche se il tema della violenza sulle donne non è mai e mai può essere considerato banale, e il finale non è incandescente, pur se il colpo di scena arriva come un pugno nello stomaco nell’epilogo. E dà tutta un’altra visione a ciò che si è letto prima…

L’ambientazione è simile a quella de “La ragazza nella nebbia” e dà la stessa sensazione di paura e di claustrofobia, il modo con cui Carrisi riesce a tenere il lettore incollato alle sue pagine. Ed è al solito straordinario quando descrive i suoi personaggi che vivono sul confine tra il bene e il male, uomini e donne crudeli, malati, in balìa della vita. Che siano essi senza ombra di dubbio dalla parte dei cattivi o siano chiamati a interpretare il ruolo dei buoni, anche se a volte ci si può confondere... L’uomo che pulisce ha una personalità disturbata e una visione distorta della realtà, tanto che crede di aver vissuto e di saper fare solo il male; la cacciatrice di mosche è una donna distrutta da un dramma e come missione nella vita cerca di evitare altri abusi sulle donne; la ragazza con il ciuffo viola vorrebbe forse essere il personaggio chiave, innocente e nello stesso tempo incapace di accettare il suo mesto destino; ma in “Io sono l’abisso” non trova fino in fondo la sua dimensione.

Trovati i piccoli “difetti”, va comunque detto che l’ultima fatica letteraria di Carrisi è un libro che si “brucia” in poche sere. Perché le pagine scorrono fluide, i colpi di scena non mancano, perché ci si trova a parteggiare per il bene ma si è portati a provare compassione per chi compie il male. Perché è un romanzo che ci apre gli occhi su una realtà che non va sottovalutata. Perché Carrisi ancora una volta ci dice che male e bene non hanno una sola faccia. E riconoscerli spesso è difficile.

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