Calabrese e Nicolini, istantanee di racconti

«Questo libro, oltre a essere un rosario di brevi racconti, è una esercitazione di antropologia sull’identità di un piccolo paese. I miei ricordi sono trasfigurati nella cronaca di un villaggio incantato per il sortilegio delle stagioni e per la familiarità di angeli e diavoli».Geografia e storia, realtà e fantasia, con rigore cartesiano di scrittura ma con altrettanta cartesiana immaginazione, questa volta Adamo Calabrese ci accompagna - con brevi prose, versioni in dialetto delle stesse e fotografie in bianco e nero di Toni Nicolini - in uno degli abitati fra Pavia e Lodi, forse il paese della madre, comunque il paese dell’infanzia e dei sobbalzi della memoria. Anche in queste micronarrazioni Calabrese riesce a mantenere un alto tasso affabulatorio ben più presente ne’ La cenere dei Fulmini anch’esso edito nel 2010 da Albatros- Il Filo con disegni suoi e una briosa prefazione di Marco Ostoni. La brevità e la materia memoriale non fa calare la guardinga scrittura e le sue amplificazioni, anzi l’ironia e l’esemplarità talvolta ha più briglia. Un esempio Il milordone: «Una volta in piazza si fermò un camion. Frenò di colpo. Il guidatore saltò giù e corse via gridando aiuto. Nella cabina del camion c’era una biscia, lunga e grossa come un braccio. Era un milordone. Il motore era rimasto acceso e il camion sussultava e rombava come dovesse morire. Invece la biscia dormiva. Poi mio zio sparò col fucile dentro il camion. Il motore si fermò e la biscia cascò dal sedile».

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