Ascesa e declino dell’italica donna

Una donna cinta da una corona turrita, illuminata da stella, che regge una cornucopia segno di inestimabile ricchezza e fecondità, con un globo come trono. Questa l’immagine canonica dell’Italia tramandata sin dall’antichità romana e via via ampliata e codificata attraverso i secoli che è giunta praticamente sino ai nostri giorni. Con una ricerca particolarmente innovativa e brillante che spazia dalla storia tout court sino a toccare la letteratura, le arti e la cultura popolare, Nicoletta Bazzano ci prende per mano guidandoci lungo i secoli alla ricerca della formazione di un’allegoria e del suo successivo consolidarsi. Un’allegoria che è divenuta il fondamento dell’identità collettiva di una nazione e di un Paese così come si è formata sin dalla tarda antichità sino ai nostri giorni che solo nel corso degli ultimi decenni ha preso a venire meno

fino a «confondersi nel rutilante caleidoscopio delle immagini simboliche della cultura di massa e progressivamente sbiadirsi fino quasi a scomparire». Dalle prime immagini risalenti alla I secolo avanti Cristo, quando i socii italici di Roma ne utilizzarono l’immagine nel corso della loro rivolta contro la Repubblica contrapponendola alla dea Minerva simbolo della dominante, alla successiva adozione in età augustea con l’adozione della cinta turrita, legato al culto di Cibele personificazione della Grande Madre Terra, che abbinata alla cornucopia serviva a dare l’idea della grande ricchezza e abbondanza di un territorio indissolubilmente legato a Roma. Dall’emarginazione in età medievale, quando anche la stessa nozione di Italia divenne confusa, sino alla riscoperta nel corso del XIV secolo con la nuova specularità tra Roma e l’Italia abbandonata nel corso dei secoli precedenti che ritrova nuova linfa grazie alla vicenda politica di Cola di Rienzo e all’esaltazione degli umanisti, non ultimo Petrarca, esaltatore dei valori di una “italianità” abbinata ai progetti egemonici di Roberto d’Angiò prima e di Giovanni Visconti poi. Un’Italia che nel corso dei primi secoli dell’età moderna verrà sempre più considerata quale madre delle arti, delle scienze e della bellezza, modello inarrivabile, meta di quel grand tour formativo degli aristocratici europei che vi giungono per completare la loro educazione e che vede a cavallo tra Cinque e Seicento la sua immagine stilizzata raggiungere quella forma definitiva destinata a sopravvivere sino ai nostri giorni. Un’icona solo in un secondo tempo destinata ad assurgere a personificazione di una comunità politica, quando a partire dall’età napoleonica, grazie anche all’interessamento a fini propagandistici del primo console stesso, diviene il simbolo delle neocostituite repubbliche createsi sulla base del modello francese. I primi decenni dell’Ottocento, con la lunga fase del processo risorgimentale, divengono così nella ricostruzione dell’autrice una sorta di nuova età dell’oro per l’immagine della dea turrita, madre putativa dei combattenti per la libertà. Breve parentesi di gloria prima di un lungo declino: relegata in un piano secondario dai Savoia, volti a esaltare le glorie della dinastia, e quasi dimenticata dai fascisti, più propensi ad esaltare le fortune di Roma, neanche il ritorno alla democrazia e la nascita della Repubblica fermeranno questo inesorabile cammino verso l’oblio. Cacciata dai centri del potere, emarginata dalla cultura che conta, questo suo “declino” non tocca però l’immaginario popolare, dove sopravvive sempre nitida tra francobolli, vignette sarcastiche, canzoni in una sorta di rediviva giovinezza.

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NICOLETTA BAZZANO, Donna Italia. Storia di un’allegoria dall’antichità ai giorni nostri, Angelo Colla Editore, Vicenza 2011, pp. 176, 18 euro

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