Anime inquiete alla ricerca della “vera” casa

Madre nigeriana e padre ghanese, nata a Londra e cresciuta negli Stati Uniti, ma attualmente residente a Roma, Taiye Selasi, fotografa e notevole scrittrice, traccia in questo suo romanzo il quadro di una famiglia - in modo parzialmente autobiografico la propria - di origini africane e nazionalità americana: madre e padre immigrati e quattro figli nati in Occidente. La partenza è un lutto; la morte per arresto cardiaco di Kweku Sai, abile chirurgo che molti anni prima abbandona improvvisamente la famiglia e gli Stati Uniti per tornare al Paese natale, nella capitale Accra, sistemandosi in una solitaria abitazione progettata e costruita insieme all’ascetico falegname Lamptey sulla riva dell’Atlantico. A motivare il gesto è un licenziamento ingiusto, a sfondo razzista, dall’ospedale in cui lavora, e la conseguente consapevolezza di ritrovarsi fallito, incapace di soddisfare le attese e le ambizioni dei suoi cari.

Ma l’inquieto animo di Kweku risponde a ragioni più profonde, a un’instabilità che ha a che fare soprattutto con le sue radici, con un labirinto di complessi e discriminazioni, con quel continuo stare in bilico tra universi culturali e modalità affettive differenti, capaci di trasformare esseri umani che tentano di radicarsi lontano dalla propria terra in ansiosi nomadi con patrie fittizie e incolmabili vuoti interiori. Ognuno reagisce allo shock in modo diverso, secondo il carattere e le esperienze individuali, che pure all’interno di uno stesso nucleo familiare si rivelano distanti. Folásadé Savage, ovvero Fola, la bellissima moglie amata e abbandonata, deve incarnare la difficile parte della madre sola, per cui si sente impreparata e che la spinge verso pericolose scelte di abbandono. E come un ventaglio di casi umani illuminati dalla precoce sofferenza del distacco si delineano, grazie all’implacabile scavo psicologico di Selasi - stile nervoso, senza ridondanze, capace di registrare i minimi sommovimenti interiori, secondo una tradizione letteraria che annovera tra i suoi maestri Toni Morrison e Salman Rushdie - le personalità dei quattro prodigiosi frutti dell’interrotto amore coniugale. Olu ha seguito fedelmente le orme professionali del padre assente: è un dotato medico, che però nasconde nella sua rigidità scientifica una fragilità sulle difensive, permeabile a insospettati cedimenti. Sadie, l’ultima arrivata, non ha mai sconfitto il complesso dell’esclusa, della più brutta e priva di spiccate qualità di fronte alla brillantezza dei fratelli, e soltanto al termine di un lungo processo di espiazione, culminante in una danza iniziatica e rivelatrice intercettata in un villaggio ghanese, ritrova il cuore generoso della propria identità. In mezzo ci sono i due gemelli: Taiwo, seducente e talentuosa, amante clandestina del preside della facoltà di legge della Columbia, e il grande artista Kehinde, rinato e perso nel mondo delle sue visioni, delicatissimo e sapiente, in fuga da una fama ormai internazionale: entrambi vittime, nella prima adolescenza, di abusi sessuali perpetrati dallo zio Femi, drogato e criminale, cui Fola, per una breve stagione maledetta, li aveva incautamente affidati. E attorno al vortice di queste trepide esistenze, che si chiariscono sempre meglio nella progressione del romanzo attraverso una serie di intense epifanie, continua a ruotare il lutto del padre, fino alla conclusiva cerimonia funebre, in cui il luogo delle origini, quel continente africano osservato dalla posizione dolente e privilegiata della diaspora, diventa centro e punto di partenza verso nuovi e forse più felici e capitoli di vita.

_____

Taiye Selasi, La bellezza delle cose fragiliEinaudi Editore, Torino 2013, pp. 344, 19 euro

© RIPRODUZIONE RISERVATA