«Visite dei parenti in ospedale,
chi detta queste regole e su che base?»

La lettera di Alessandro Ciusani

Egregio direttore, vorrei condividere con lei e con i lettori del suo giornale una riflessione e qualche interrogativo. Tutti noi ricordiamo quando, prima della pandemia, l’accesso ai reparti degli ospedali era semplice e spesso libero: senza orari stringenti da rispettare, senza ingressi contingentati… I pazienti potevano così godere della compagnia dei parenti che li aiutavano tenendo alto il morale e nelle piccole cose (imboccando, pettinando, sistemando pigiami…).

E ricorderemo tutti bene il periodo dell’emergenza pandemica: le visite erano assolutamente vietate, ma grazie alla dedizione del personale si potevano fare videochiamate, o salutare i pazienti in locali appositamente predisposti e con precauzioni adeguate (pareti in plexiglass, visiere, mascherine e camici…). La pandemia, almeno in quella fase, aveva insegnato che è indispensabile per un paziente mantenere il contatto con i parenti e sentire la loro vicinanza.

Oggi come avviene? È cambiato qualcosa? Abbiamo fatto tesoro di quegli insegnamenti?

Purtroppo, da più di un mese vado quotidianamente a visitare mia nonna ricoverata (non per covid) e ho potuto conoscere le regole di accesso a tre reparti di due ospedali diversi: in un ospedale può entrare un solo parente dalle 17 alle 18; in un altro invece sempre un solo parente ma solo per una mezz’ora tra le 17 e le 18.30 (previa prenotazione della mezz’ora preferita, perché nella stessa camera non possono essere presenti più parenti contemporaneamente). Dovesse poi esserci un caso covid, le visite vengono vietate, anche se ci fosse la disponibilità da parte dei parenti ad indossare camici, visiere o a dimostrare di essere coperti dalla vaccinazione.

Mi chiedo da chi sono dettate queste regole? Ovviamente dall’azienda. Su che base? A parità di numero di pazienti in stanza e di attrezzature (si spera), perché ogni reparto si muove come vuole?

La pandemia non dovrebbe aver insegnato che per i pazienti è indispensabile ricevere la visita dei parenti se vogliono tenere alto il morale e continuare a combattere la malattia? E non dovrebbe aver “costretto” le direzioni sanitarie a ripensare i protocolli in modo da permettere le visite in sicurezza? A me pare invece che l’unica soluzione adottata dalle aziende ospedaliere (bruttissimo accostamento quello tra “azienda” e “ospedale”) sia ridurre al minimo le visite e renderle più complicate possibili. Si è passati dal “dentro tutti” pre-covid al “fuori tutti, tranne uno solo una mezz’oretta”. Perché i parenti vengono visti come pericolosi potenziali untori nei confronti dei quali si può solo applicare una stretta sugli accessi ai reparti?

Ora, vi immaginate cosa può fare una signora anziana costretta a letto da una semi-paralisi, ma con la testa che funziona ancora perfettamente, in una stanza senza nemmeno televisore né giornali? La risposta è semplice: si deprime e si lascia morire! A cosa serve una visita di un solo parente per solo mezz’ora al giorno? Purtroppo, a niente!

Un ultimo aneddoto: quando per quasi due settimane mi è stato impedito l’accesso a causa di un paziente positivo, i giorni in cui il personale ha potuto aiutare mia nonna a chiamare a casa con il cellulare li ho contati sulle dita di mezza mano (e si trattava solo di dare un piccolo aiuto a far partire la chiamata a una paziente quasi novantenne, paralizzata per metà e allettata).

Mi chiedo: deve arrivare un’altra pandemia per costringerci a ripensare la sanità e investire le risorse necessarie per migliorare il servizio?

Alessandro Ciusani

Orio Litta

Gentile Ciusani, grazie della lettera, quantomai opportuna. Sono felice di poter aggiungere che la Asst ha annunciato un ampliamento della fascia oraria delle visite per i neo papà. E anche per gli altri reparti dovrebbero esserci novità positive a breve. L. R.

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