RICORDO Con don Piero Bernazzani se ne va un pezzo di mondo più vero e umano

La lettera di Marco Baratto

Quando una persona muore, spesso tutti, anche i suoi avversari, si affrettano a tesserne le lodi. È quasi una regola non scritta: la morte spegne le polemiche e lascia spazio solo agli elogi. Ma vi sono casi rari in cui gli elogi non sono un atto di circostanza, bensì la naturale conseguenza di una vita vissuta con coerenza e dedizione. È il caso di monsignor Piero Bernazzani, che per chi è di Mulazzano resterà sempre, semplicemente, don Piero.

Don Piero era stato ordinato sacerdote il 30 maggio 1953 da monsignor Tarcisio Vincenzo Benedetti. Nel corso della sua lunga vita pastorale ha ricoperto ruoli importanti: è stato presidente del Capitolo della Cattedrale dal 2010 all’ottobre 2020 e canonico arcidiacono; dal 2014 risiedeva accanto alla Cattedrale, dove era collaboratore della parrocchia di Santa Maria Assunta. Per lunghi anni ha confessato in Duomo e fino all’ultimo ha voluto essere presente alle celebrazioni, accompagnato lentamente all’altare dai giovani seminaristi per poter concelebrare la Messa.

Fu primo cappellano dell’ospedale dal 2012 al 2014, ma la sua presenza al Maggiore era iniziata molto prima: già dal 1993, come secondo cappellano e assistente spirituale, oltre che come responsabile della Consulta diocesana per la Pastorale della Salute. Sempre discreto, quotidiano, vicino ai malati e alle loro famiglie senza mai cercare visibilità.

Eppure, per noi di Mulazzano, don Piero non sarà mai ricordato solo per i suoi titoli o incarichi. Sarà sempre il parroco che dal marzo 1981 al 1990 ha segnato la vita del nostro paese con dedizione assoluta. La mia memoria personale lo lega all’infanzia, a quei gesti silenziosi e concreti che raccontano più di mille discorsi. Non mancava mai una visita alle famiglie: era sempre presente, a ogni ora del giorno e della notte, con discrezione e affetto. Ricordo in particolare ogni anniversario della Madonna di Lourdes, quando veniva a celebrare una Messa privata nella nostra casa, davanti al letto di mio nonno materno, non più autosufficiente dopo un grave incidente stradale. Non accettava alcuna offerta: quella celebrazione era un atto di amore pastorale, vicinanza autentica. La solennità e al tempo stesso l’intimità di quelle Messe ci regalavano serenità, a noi e ai vicini che vi partecipavano.

Come potrei dimenticare la notte in cui mio nonno morì? Allora i medici di base erano sempre reperibili, e il nostro, il dottor Alfeo Giudici, arrivò subito. Anche don Piero fu avvisato e, senza esitazioni, in piena notte si precipitò da noi. Il medico disse a mia nonna che mancavano poche ore. Don Piero, che aveva portato con sé la stola e tutto il necessario, nonostante l’età non più giovane corse nella stanza di mio nonno e gli impartì, per quanto possibile, l’assoluzione e l’estrema unzione. Con delicatezza riuscì persino a fargli ricevere la comunione, con un frammento di ostia. Quel gesto di fede e cura pastorale resta per noi un ricordo indelebile.

Lo stesso avvenne quando morirono i miei nonni paterni. Don Piero non guardò se fossero suoi parrocchiani: venne a Melegnano, concelebrò le esequie e li accompagnò fino alla benedizione al tumulo, a Mulazzano. Li considerò parrocchiani comunque, senza che nessuno glielo chiedesse esplicitamente. Erano gesti che non avevano bisogno di parole: era il suo modo di vivere il sacerdozio, in uscita, vicino alla gente, come direbbe Papa Francesco.

Ricordi così rimangono impressi, perché raccontano un mondo che non esiste più. Una società dove i rapporti erano più veri, dove la morte e il lutto erano momenti condivisi dalla comunità. Oggi, purtroppo, anche nei paesi, i funerali sono sempre meno partecipati. Spesso i sacerdoti attendono il defunto in chiesa; i cortei sono malvisti, come se disturbassero, e per adeguarsi i riti vengono celebrati in fretta, le sepolture fatte quasi di corsa. I propri cari diventano pacchi postali, gestiti con rapidità e distacco. Sempre più persone non vogliono nemmeno veder passare i cortei davanti a casa.

Con don Piero se ne va non solo un sacerdote, ma un pezzo di mondo, un pezzo di civiltà. A chi ha conosciuto quella società dispiace, perché sa che era più vera, più umana. Oggi, anche grazie all’invito di Papa Francesco e al tentativo di rinnovamento di Papa Leone, la Chiesa cerca di tornare “in uscita”, di avvicinarsi alle persone. Ma figure come don Piero ci ricordano che questo stile non è nuovo: lui lo ha vissuto per tutta la vita, con naturalezza e senza proclami.La sua morte lascia un vuoto profondo, ma anche la consapevolezza di aver incontrato un uomo e un sacerdote che ha incarnato davvero il Vangelo. Per noi di Mulazzano, e per tutti coloro che lo hanno conosciuto, don Piero resterà sempre il parroco che sapeva essere vicino, presente, e capace di rendere la fede un’esperienza concreta di amore e di comunità.

Marco Baratto

Mulazzano

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