«Non mettete l’Archivio storico nello scantinato dell’ex Linificio»

L’intervento di Ferruccio Pallavera

Egregio direttore,

Lodi ebbe un grande vescovo, l’umanista Gerardo Landriano, che resse la diocesi dal 1419 al 1437. Un giorno, frugando nel polveroso archivio del capitolo della cattedrale, fece una scoperta sensazionale: vi rinvenì un codice nel quale qualcuno aveva ritrascritto quattro opere complete di Cicerone, che i canonici ignoravano di possedere. Nel codice c’erano il “Brutus” (che era del tutto sconosciuto) e il testo integrale del “De Oratore”, di cui fino ad allora erano noti solo brani incompleti. Mi piace pensare che in quelle pagine scoperte dal vescovo Landriano si leggeva una frase che sarebbe stata tramandata nei secoli: «Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36): la storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità.

In poche parole: la storia è maestra di vita. A tale proposito, egregio direttore, mi consenta di intervenire nel dibattito che il suo giornale ha aperto a proposito del futuro Museo della città di Lodi. Quattro le considerazioni.

La prima. Dal giorno in cui è stato reso noto il progetto di massima del futuro Museo ho ripetutamente espresso - e con me Margherita Cerri presidente vicaria della Società Storica Lodigiana - le più ampie perplessità sul fatto che la dislocazione dell’Archivio storico comunale di Lodi sia stata prevista nello scantinato dell’ex Linificio. Si tratta di un patrimonio (negli ultimi decenni conservato in via Fissiraga) che è di incalcolabile importanza per comprendere la storia del territorio: vi sono riposti, tra gli altri, gli Archivi delle Congregazioni di Muzza e del Consorzio di bonifica Muzza Bassa Lodigiana (pergamene dall’anno Mille!), gli Archivi dell’Ospedale Maggiore e dell’Ospedale Fissiraga di Lodi (documenti dal XII secolo), l’Archivio della Scuola dell’Incoronata e del Monte di Pietà (dal XV secolo), l’Archivio notarile riguardante tutti i comuni del Lodigiano e del Cremasco (dal XIV secolo), l’Archivio della Sottoprefettura di Lodi e Crema (dal XVIII secolo), il Fondo degli Agrimensori (dall’anno 1602). Si tratta di milioni e milioni di documenti riposti in centinaia di faldoni, pergamene e incartamenti originali, che mai nessuno ha scannerizzato.

Ebbene, ubicarli in uno scantinato è pericolosissimo per la loro conservazione futura, sia per l’umidità che per il pericolo degli allagamenti. È vero che le tecnologie oggi fanno miracoli, ma tutti constatiamo che è sufficiente l’interruzione dell’elettricità a causa di un temporale o un impianto malfunzionante per mandare a rotoli qualsiasi marchingegno di ultima generazione. Se l’umidità e il salnitro stanno rovinando le decorazioni del tempio dell’Incoronata, immaginiamoci cosa può succedere per i documenti di un archivio seminterrato. L’ultima alluvione che ha travolto una parte della Romagna ha causato, tra le altre cose, la perdita irreversibile di centinaia di volumi antichi, le Cinquecentine, appartenenti alla biblioteca del Seminario di Forlì, che qualcuno aveva sciaguratamente pensato di “custodire” in uno scantinato. Ecco perché il patrimonio dell’archivio storico comunale del Lodigiano (che è il nostro “Archivio di Stato”!) non può essere stipato sottoterra. È dunque necessario pensare a una sua dislocazione in un piano superiore dell’ex Linificio. Non è un problema di peso: ricordiamo che i saloni della fabbrica dismessa hanno ospitato i macchinari pesantissimi che producevano lino e canapa a livello industriale.

Seconda considerazione. Grazie all’inchiesta del “Cittadino”, abbiamo appreso che qualcuno (chi?) in anni recenti ha deciso di trasportare nell’ex Linificio l’ingente archivio storico del Tribunale di Lodi, abbandonato sul posto e accatastato a terra senza alcuna protezione, alla mercé di qualsiasi senzatetto. Questo materiale deve essere trasferito al più presto in un luogo protetto, per impedire che qualche malintenzionato, ora che la notizia è diventata pubblica, si diverta ad accendervi un fiammifero, con le conseguenze che si avrebbero sull’intero edificio. Ed è auspicabile che l’archivio del Tribunale torni poi nell’ex Linificio, aggregato all’Archivio storico comunale.

Terza considerazione. La Provincia di Lodi esiste perché 64 Comuni del territorio nel 1965 diedero vita al Consorzio del Lodigiano, un ente che è vissuto fino al 1995, gettando le basi per l’autonomia del territorio. Che fine ha fatto l’archivio del Consorzio del Lodigiano? Nessuno tra le persone che ho interpellato è stata in grado di fornirmi una risposta certa. Qualcuno dichiara che si trova in una ex casa cantoniera, altri sostengono che è in un magazzino fuori Lodi. Perché in futuro non portare in salvo anche questa documentazione, unendola a quella dell’Archivio storico comunale? E perché non fare lo stesso con l’archivio del Consorzio Basso Lambro?

Infine, la quarta considerazione, l’ultima. L’ex Linificio ha uno scantinato immenso: anziché depositarvi l’Archivio storico comunale, si potrebbe trasferirvi i grandi macchinari del Museo della stampa voluto da Andrea Schiavi. Nel Lodigiano in centocinquant’anni sono stati fondati ottanta giornali settimanali. Qualcuno è sopravvissuto per decenni. Uno di essi, nato nel 1868, si trasformò nel primo quotidiano socialista d’Italia e ospitò gli scritti di Carlo Marx. Un altro ancora, creato nel 1878, dopo aver cambiato nome è diventato l’odierno quotidiano del Lodigiano e del Sudmilano. Ve l’immaginate un museo interattivo dedicato alla stampa, con la possibilità di laboratori per i più piccoli? Potrebbe costituire, unitamente alla Lodi sotterranea, un’attrazione più unica che rara per visitatori e scolaresche, provenienti anche da regioni a noi vicine.

Un augurio. Che il sindaco Andrea Furegato e Andrea Cancellato (che si sono assunti l’improbo e coraggioso compito di dare una destinazione concreta all’ex Linificio), unitamente alla giunta municipale e all’intero consiglio comunale di Lodi, riflettano prima di assumere decisioni definitive che potrebbero avere conseguenze nefaste per il ricchissimo patrimonio cartaceo che testimonia e racconta la storia della nostra terra. Li supplichiamo: non ci facciano scrivere tra qualche anno, dopo un devastante nubifragio: “...Ecco, noi ve l’avevamo detto...”.

Ferruccio Pallavera, Cavenago d’Adda

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