No all’accanimento mediatico sui drammi

Quando accade un fatto di cronaca particolarmente efferato si scatena una sorta di accanimento mediatico che, come tutte le forme di ostinata persistenza, ha molto di esagerato, fuorviante e inutile al tempo stesso. È quanto accaduto recentemente per l’atroce crimine di Senago, dove si è raggiunto il massimo della crudeltà andando a intervistare la mamma dell’assassino. Ma cosa poteva dire quella povera donna schiacciata da un enorme senso di colpa? C’era bisogno che piangesse in diretta, giungendo addirittura a chiedere scusa al mondo per aver generato un simile figlio? Dico no all’accanimento mediatico , comunque ed ovunque si manifesti, men che meno in simili frangenti. Tale forma perversa di giornalismo è presente in molti settori e la si trova su tutte le testate, specialmente quelle a maggior tiratura o alto indice d’ascolto, al punto che più che il diritto di informazione e cronaca, sembra venga perseguito l’obiettivo di aumentare l’audience e le vendite. Entrare nei particolari, sicuramente utili per le indagini giudiziarie (ma non per i lettori), oltre a soddisfare ed alimentare morbose curiosità, costituisce una forma di violenza nei confronti dei telespettatori. Per chi, al par mio, ha solitamente la televisione accesa mentre fa altro, sentire come sottofondo il numero di pugnalate inferte, i contenuti di messaggi intimi, una pletora di dettagli raccapriccianti, è un’insopportabile prevaricazione. Certo, si può sempre cambiare canale, ma la musica non cambia di molto. C’è tuttavia un altro modo di fare giornalismo, più discreto e rispettoso di tutti e se non suonasse come speciosa piaggeria direi che «il Cittadino», che pure ha affrontato diverse volte casi spinosi, interpreta questo modo corretto di raccontare le cose. Di sicuro non è il «New York Times» e neanche il «Corriere della Sera», ma almeno quando lo si sfoglia si sa che è un mezzo di informazione professionale e rispettoso di tutti

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