«Invocare la pace non è sufficiente
affinché si realizzi»

La risposta di Lorenzo Guerini a Lorenzo Taravella

Caro Stefano,

prima di tutto ti ringrazio per aver scelto di rivolgermi in forma pubblica le tue stimolanti sollecitazioni, offrendomi in questo modo l’opportunità di tornare ad esprimere le mie convinzioni riguardo tematiche importanti e delicate, con la premessa e nella consapevolezza che chi riveste responsabilità istituzionali è chiamato a declinare tali convinzioni in decisioni concrete.

A ciò aggiungo un ulteriore motivo di gratitudine, per la costante coerenza che hai voluto riconoscermi sui temi in questione: lo considero un apprezzamento. Nel merito del riscontro alle tue considerazioni: senza cadere nella retorica delle “frasi fatte”, credo si possa affermare che aspirare alla pace, alla fine di ogni guerra, alla convivenza pacifica tra i popoli rappresenti una aspettativa comune a tutti e di ciascuno, salvo di coloro che del sopruso e della violenza fanno uso per affermare il proprio potere. Ma invocare o evocare la pace non è affatto sufficiente affinché essa si realizzi. Perché la pace si affermi è necessario confrontarsi con la realtà e agire di conseguenza, costruire le condizioni perché essa trovi spazio in un mondo in subbuglio e attraversato da rilevanti tensioni, latenti o in atto. Soprattutto, occorre difenderla quando è minacciata o volutamente aggredita, così come accade in Ucraina dal febbraio del 2022.

Nelle considerazioni su questa drammatica situazione non si può infatti omettere l’evidenza che l’Ucraina è stata invasa in modo criminale da Putin e che ancora oggi il popolo ucraino, innocente, soffre e muore a causa dello scatenarsi di una guerra che non ha voluto né cercato, ma che è stata voluta e cercata, anche se con obiettivi strategici poi falliti, da Putin.

Se abbiamo a cuore i valori democratici e di libertà, che sono alla base di una convivenza pacifica, continuo a credere che sia nostro dovere aiutare l’Ucraina, in tutte le forme possibili, perché possa esercitare il suo legittimo diritto alla propria difesa di fronte a un’aggressione ingiustificata, in coerenza con l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Continuo a credere che in Ucraina si stia giocando anche il futuro della democrazia liberale nel mondo. Quindi anche il nostro futuro. Aiutare il popolo ucraino a difendersi significa anche inviare armi perché questa difesa possa essere efficace e perché si realizzino le condizioni per una pace giusta (sì, giusta, perché la pace o è giusta o non è)? Continuo a credere di sì, che questo sia necessario, a meno che non pensiamo che pace significhi lasciare campo libero a chi con la violenza e le armi vuole imporre la sua logica di potenza (e trovare velocemente nuovi imitatori nel mondo di fronte alle nostre debolezze). So bene che il tempo che passa senza arrivare a soluzioni porta con sé una certa “stanchezza” nelle nostre società democratiche. Ma è proprio su questo che scommette l’invasore. Non dimenticare il popolo ucraino deve essere a maggior ragione un nostro impegno. Libertà e giustizia sono le fondamenta su cui poggia una vera e duratura pace. Senza queste rischiamo di lasciare spazio a soluzioni fasulle che hanno la parola pace solo nel nome, perché una pace senza libertà è oppressione, una pace senza giustizia è spesso dittatura.

Con amicizia e stima.

Lorenzo Guerini

Lodi

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