«Il vero problema è un supermercato in più oppure le nostre abitudini alimentari?»

La questione Esselunga a Lodi continua a tenere banco, una riflessione di Eugenio Trentin

Egregio Direttore,

vorrei esprimere qualche considerazione sulla vicenda Esselunga, prossimamente a Lodi. I contrari al progetto pubblicano dati a dir poco drammatici sotto tutti gli aspetti, ambientali, viabilistici, occupazionali, completamente opposti a quelli forniti dai proponenti. A chi credere? L’esperienza vissuta col Covid-19, con estenuanti dibattiti tra esperti spesso in disaccordo fra loro, non mi dà alcuna certezza “scientifica”.

Mi permetto allora di portare la mia esperienza personale, forse semplicistica ma almeno reale, anziché riportare solo pareri altrui preconfezionati: da parecchi anni mi capita di fare acquisti all’Esselunga di Milano, Pavia o Piacenza, tutte strutture situate ben dentro le città, quella di Pavia, in particolare, in un’area simile a quella di Lodi (centrale e vicina alla stazione ferroviaria): hanno sistemato strade e rotonde, niente code da bollino rosso ferragostano per arrivarci, niente risse per parcheggiare né, mi risulta, problemi uditivi per gli abitanti del circondario, mentre (solo) l’Esselunga di Lodi, secondo gli oppositori, pare diventerà una nuova Cape Canaveral, con livello decibel da decollo di Space Shuttle. Basta andare a vedere, sono città vicine. Si discute di cubature, negozi e inquinamento secondo schieramenti politici (Coop e discount sono di sinistra, l’Esselunga è di destra... come forse direbbe Gaber). La provincia di Lodi è la terza in Lombardia per aumento del consumo del suolo (recentissimi dati ISPRA), grazie anche a sempre nuovi insediamenti logistici che lo devastano, però non si fanno pubblici dibattiti e petizioni contro la logistica, contro Esselunga sì.

Ma faccio anche un’altra considerazione, anzi un auspicio: mi piacerebbe un dibattito più ampio, non limitato a temi economico-ambientali di quartiere. La questione non è se Esselunga serva o no, se avremo qualche assunzione in più e qualche negozio in meno, ma se negozi e supermercati non siano semplicemente troppi, senza distinzioni, grandi o piccoli, in centro o in periferia, se non si possa combattere l’autentica ossessione di questi anni per il cibo. Non è un discorso anti-consumismo, solo la fotografia di una società. Discutiamo da decenni di legalizzazione delle droghe quando la droga più diffusa e legalizzata, la moderna (tossico) dipendenza è quella da cibo (mi riferisco a Italia e paesi simili, ovviamente). L’obesità è ormai un problema sociale. Si mangia tanto e i media ci esortano a farlo di più, tanto poi si va in palestra o dal dietologo. La frase più ascoltata in occasione di festività o vacanze (e pure nel lockdown) è la divertita previsione di quanti chili aumenteremo e sulle diete per sgonfiarsi. Nelle discussioni su temi sociali è diventato un termine di paragone la famiglia “da Mulino Bianco” felicemente unita a tavola, i nuovi divi sono gli chef, sui social si postano foto del piatto cucinato o servito al ristorante, la qualità della vita è commisurata a quella dei ravioli o dei surgelati, la vitalità della città dipende dal numero di tavoli di bar e ristoranti, feste della birra e street food. Il problema sta nelle nostre abitudini alimentari o in un supermercato in più? Questo vorrei sentire: un confronto che vada al di là del fatto specifico e senza condizionamenti ideologici. Si può fare? Cordiali saluti.

Eugenio Trentin

Lodi

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