Lettere al Direttore / Lodi
Martedì 01 Ottobre 2024
Il martirio di padre Kolbe, ucciso dai nazisti, e l’importanza della memoria
La lettera di Alberto Resemini
Illustre Direttore.
Ci sono personaggi che si sono distinti per aver combattuto con il loro coraggio il nazismo fino a sacrificare la propria vita, ma che vengono dimenticati e confinati all’oblio. Uno di questi Martiri è Padre Massimiliano Kolbe, polacco, deceduto a soli 47 anni, nel famigerato campo di concentramento di Auschwitz. Sono anni che non si legge, non dico un articolo, Ma neppure una “breve” sui media che ricordasse l’eroico frate Francescano. Padre Kolbe non merita assolutamente l’oblio!
Deve essere ricordato per l’immenso e generoso gesto compiuto nel lager. Offri la propria vita per salvare quella di un padre di famiglia, il sergente polacco Franciszek Gajowniczek, condannato a morire di fame, come rappresaglia per la fuga di un prigioniero. Purtroppo anche nel blocco 14 del lager vigeva all’odiosa regola di guerra praticata dai tedeschi dal 1 contro 10 (10 esecuzioni per ogni prigioniero che fosse riuscito a scappare). È doveroso raccontare la storia di Padre Kolbe, perché pregna di fatti e aneddoti che devono essere di insegnamento per i posteri.
Nacque l’8 gennaio 1894 con il nome di Raimondo, crebbe in una famiglia dalle modeste condizioni economiche insieme a 4 fratelli, in una zona polacca sotto il controllo della Russia. Essendo i genitori molto religiosi, Raimondo ebbe da loro supporto e sostegno per la sua vocazione. A 16 anni, da novizio, ricevette i voti temporanei come Francescano conventuale.
Conseguì due lauree ed il 28 aprile 1918 venne ordinato sacerdote ed il giorno seguente celebrò la sua prima Messa.
Negli anni vissuti a Roma Padre Kolbe contrasse, purtroppo, la tubercolosi che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Costretto a rientrare in Polonia iniziò a insegnare nel seminario di Cracovia che purtroppo dovette abbandonare per curarsi dalla malattia.
La sua intensa vita spirituale era caratterizzata dal forte desiderio di protendersi a tutta l’umanità, e di far crescere e amare Dio. Presto Kolbe realizzò ciò che doveva dare forma e sostegno al suo impegno, e per questo costituì la “Milizia dell’Immacolata” a cui era molto devoto. Pur con un fisico indebolito dalla tubercolosi, nel 1930, Kolbe partì come missionario alla volta dell’estremo Oriente. Si recò in Cina, Giappone e India dove riuscì a fondare nuove missioni ed un seminario.
Nel 1936 Kolbe, minato nel fisico, decise di rientrare definitivamente in Polonia dove, si dedicò al rafforzamento del Convento cattolico che divenne il più grande al mondo, quasi una città autonoma. Padre Kolbe, oltre ai doveri monastici contrastò duramente il nazismo aiutando gli ebrei ospitandoli in convento. Furono migliaia i rifugiati nel monastero, e molti riuscirono a salvarsi. Quando, il 19 settembre 1939 le truppe tedesche invasero la Polonia, Padre Kolbe fu arrestato insieme a 37 confratelli per aver aiutato gli ebrei in fuga. Venne liberato l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione!
Tornò al suo paese e lo trovò bombardato e semi distrutto, ma Kolbe non si rassegnò, Anzi, raddoppiò le forze e trasformò il suo convento in un ospedale e asilo per migliaia di profughi. La sua libertà, però, durò pochi mesi il 17 febbraio 1941 venne nuovamente e definitivamente arrestato dalla famigerata Gestapo. Giunse nel lager di Auschwitz il 28 maggio, dove venne immatricolato con il numero 16670. Nonostante fosse severamente vietato, piena la morte, Padre Kolbe riuscì a celebrare due volte la messa, continuando il suo impegno come presbitero. A fine luglio lo trasferirono qui nel blocco 14, come ha detto alla mietitura. Ma la fuga di uno dei prigionieri scatenò la feroce rappresaglia nazista. Il comandante del campo selezionò a caso dieci persone per farle morire in modo atroce e disumano nel “bunker della fame”. A un tratto si sentì un grido disperato “ Addio mia povera sposa, addio miei poveri figli”; era il sergente polacco Franciszek Gajowniczek.
Ma un uomo, anzi, un numero su un pigiama a strisce, uscì con passo deciso dalle file di prigionieri e si Diresse verso il comandante: “Sono un prete cattolico a polacco e voglio prendere il suo posto, perché egli ha moglie e figli”. Richiesta che fu ovviamente accettata e subito dopo Kolbe venne avviato con gli altri nove condannati verso il famigerato blocco 11. Qui le vittime furono denudate e rinchiuse in una angusta cella in cui dovevano morire di fame e di sete!
Quando dopo due settimane gli aguzzini decisero di svuotare la “cella della morte “, solo quattro uomini erano ancora vivi, tra cui Padre Kolbe. Vennero però subito uccisi mediante una iniezione di acido, loro corpi cremati e le polveri disperse al vento. Le sue ultime parole, porgendo il braccio per l’iniezione, furono “Ave Maria”.
L’eroico sacrificio di Padre Massimiliano Kolbe non venne dimenticato dalla Chiesa, anzi. Il 17 ottobre 1971 Papa Paolo VI lo rese Beato, mentre da Giovanni Paolo II, suo connazionale, fu canonizzato. Alla cerimonia in piazza San Pietro era presente il sergente polacco salvato da Padre Kolbe, per riconoscenza, e tributargli i doverosi onori.
Alberto Resemini
Massalengo
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