«Il disegno delle mie nipotine rivela di resilienza dei nostri bambini»

La lettera di un nonno sulla straordinaria capacità di adattarsi dei più piccoli

Questo è il disegno spontaneo (meglio, una piccola composizione polimaterica) fatto a scuola da due alunne di seconda elementare, evidentemente immerse (sommerse?) nel climate covid. Quando mia figlia, madre di una delle due bambine, me l’ha inviato era piuttosto abbattuta, sul tipo “Poveri bambini, guarda che disegni fanno...”.

Al contrario, io non mi sono fatto prendere dallo sconforto per quel disegno e neanche mi sono stupito più di tanto. Infatti, con tutto quello che sta dentro e intorno a questa pandemia, non possiamo certo pretendere che i bambini ne siano estranei; anzi, non di rado, ci danno qualche punto.

Lì, ad esempio, ci vengono ricordati alcuni comportamenti corretti, di cui a volte ci si scorda, CON LA MASCHERINA AL CENTRO IN BELLA VISTA, ma soprattutto quel disegno, nella sua semplicità, ci insegna che i bambini hanno una straordinaria capacità di adattarsi ad ogni realtà, anche la più triste, rimanendo tali, cioè bambini con la voglia di vivere e di giocare. Sicuramente loro non lo sanno, ma questa è una sorta di quella capacità che gli psicologi, applicando agli umani ciò che è proprio dei materiali, chiamano resilienza. Tutti noi abbiamo visto in filmati di zone di guerra, bambini che giocavano tra rovine e macerie, apparentemente incuranti della situazione drammatica che li circondava; io stesso ho potuto osservare in una favela del sud del mondo, frotte di ragazzini allegri e spensierati che si contendevano una palla sgangherata tra putridi rivoli e maiali che grufolavano indifferenti.

“Bello quel disegno con la mascherina - ho detto a mia nipote alla prima occasione - però te la sei tolta per incollarla al foglio”, ho continuato con fare un po’ burbero da finto rimprovero. “No, era di scorta, perché ce la danno tutti i giorni”. Tralasciando facili considerazioni sullo spreco e sull’uso responsabile delle cose, concludo con un’altra considerazione. L’ episodio raccontato mi (ci) ricorda che con questa pandemia dovremo convivere a lungo senza farci prendere dallo sconforto e dall’abbattimento, cercando anzi di reagire praticando gli spazi (pochi in verità) che ci sono concessi e utilizzando fantasia,creatività... e un po’ di ironia, che non guasta mai.

“...ma nonno, giocavamo al loc daun”. Come quelle bambine, per l’appunto.

Un nonno attento, come tanti

Lodi

Che bella lettera, davvero profonda nella sua semplicità: ne avevamo bisogno per riflettere - senza perdere il sorriso - in questi tempi grami. I nostri bambini e ragazzi stanno vivendo una situazione di emergenza e provvisorietà che probabilmente in Italia non si avvertiva dalla Seconda guerra mondiale. E lo stanno facendo dimostrando, come ben ci segnala il nostro lettore, una capacità di adattamento straordinaria.

Vederli tutte le mattine entrare a scuola, tutti in fila, ordinati (per quanto possano essere ordinati “bimbetti” di 6-7 anni) e pieni di entusiasmo nonostante le mascherine ben calate sul viso è una tra le scene più belle che mi si presentano davanti ogni giorno. E che mi fa pensare all’ottusità di quanti - a Roma ma anche nel Lodigiano, denunciamolo senza remore - hanno ben pensato di chiudere le scuole, salvando - bontà loro - solo le elementari. Come ha scritto il rettore del Collegio San Francesco, padre Stefano Gorla, ieri sul «Cittadino», “...noi, scellerati, chiudiamo le scuole. Pagheremo care queste scelte miopi”.

Lorenzo Rinaldi

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