Ha dato una bella testimonianza di pastore errante

Storia di Pietro, che veniva da Bossico, in Valseriana

Nel mese di novembre 1965 ero da poco giunto a Lodi per lavoro quando un pomeriggio, girando nella campagna intorno alla città, vidi con sorpresa un gregge di pecore, qualche asino, alcune capre e un pastore intento a governarle con l’aiuto di due cani, che si riparava sotto un grande ombrello colorato. Mi avvicinai per salutarlo, come usavo fare dalle mie parti in circostanze simili. Provengo infatti da una famiglia di coltivatori diretti della Valcamonica. Il pastore, non conoscendomi, rispose al saluto piuttosto freddamente, senza precisare volutamente il suo paese di provenienza. Comunque seppi che si chiamava Pietro e veniva dalla Valseriana.

Da quella volta, ogni inverno, quando arrivavano le pecore, facevo un giro per salutarlo. Quando la temperatura era troppo bassa, le pecore madri proteggevano gli agnellini sotto il loro corpo, mentre Pietro si riparava sotto una tendina, avvolto in pelli di pecora. Se sentiva troppo freddo ai piedi, si alzava anche di notte e camminava mezz’ora per scaldarli, poi tornava in tenda. La sua pelle, resa dura e quasi paonazza dalle intemperie, lo faceva sembrare più vecchio della sua età. Durante la transumanza a piedi, seguiva percorsi che suo padre gli aveva insegnato fin da ragazzo: in autunno scendeva dai monti della Valseriana per raggiungere il Lodigiano e proseguire fino al Po. Quando nevicava, se poteva, metteva le pecore al riparo sotto un portico, dando loro un po’ di fieno. A volte le labbra e le mucose delle pecore si congestionavano per il freddo, ma allo spuntare della prima erba guarivano. Una primavera lo trovai in sosta alla cascina Colombera, ormai diroccata, per il taglio della lana. Aveva fatto venire appositamente dall’Abruzzo due tosatori che erano veloci, con le forbici affilate e abili a non procurare alcun fastidio alla pelle degli animali, che non si scomponevano e sottostavano docili. La lana veniva stipata in sacconi di canapa e consegnata al lanificio di Lodi che ora purtroppo non c’è più.

Quando nascevano degli agnellini, Pietro riusciva a portarne tre alla volta infilandoli nelle capienti tasche della sua giacca da pastore, confezionata su in Valle. Trovatone la madre, li faceva allattare. In pochi giorni gli agnellini diventavano autosufficienti. Di Pietro mi colpiva la calma, la perseveranza senza spazientirsi mai con cui eseguiva ogni suo lavoro. In quei momenti pensavo al Buon Pastore che Pietro, forse senza rendersi conto, imitava egregiamente. Non si allontanava mai dal gregge. Ad ogni suo cenno o fischio tutte le pecore obbedivano e si spostavano ondeggiando. Erano un vero spettacolo. Con lo scorrere degli anni la sua diffidenza nei miei confronti diminuiva sempre di più. Una volta gli dissi che al mio paese, a Pisogne, avevano designato Parroco un certo don Arrighetti di Bossico e lui ammise di conoscerlo, perché abitava vicino a casa sua. Erano passati una trentina d’anni quando seppi che era di Bossico. Capii allora che al pastore non bisogna mai chiedere dove abiti e quante pecore abbia, essendo lui obbligato a transitare sui terreni altrui. Un giorno ci trovavamo nei pressi della nuova Università di Lodi; mi chiese che cosa facessero lì dentro. Gli risposi che quella era la facoltà di Veterinaria; ridendo gli dissi che se una delle sue pecore si fosse ferita o ammalata, portandola lì gliel’avrebbero curata e restituita più sana di prima. Lui mi chiese: “E se mi ammalo io? Curano anche me?”. Gli risposi: “Purtroppo per te lì non c’è posto e dovrai arrangiarti”. Dopo un po’ mi disse convinto: “Ho l’impressione che oggi la gente pensi di più agli animali che alle persone”.

Oggi Pietro si è ritirato a Bossico per vivere da comune paesano, sedentariamente, gli ultimi giorni della sua vita, ma il Padre Eterno, quando lo incontrerà sarà contento di lui per aver dato una così bella testimonianza di bravo pastore errante.

Agostino Pe

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