Franco Abruzzo è stato un faro per i giornalisti

Lo storico presidente dell’Ordine si è spento sabato scorso a Sesto San Giovanni. Suo uno dei più importanti manuali per i professionisti della cronaca

Tribiano

Franco Abruzzo lo aveva previsto e confidato ai familiari: “Morirò come mio padre a 85 anni”. Si è spento sabato scorso 12 aprile alle 15.15 nella propria abitazione di Sesto San Giovanni, prendendo così congedo dalla professione del giornalismo, alla quale ha dedicato tante energie. “Un longobardo del Sud tornato a casa”, si era definito. Spostatosi giovanissimo dalla natia Calabria a Milano, per seguire il sogno di diventare giornalista, ha percorso le tappe della professione con crescenti responsabilità, dal Giorno al Sole 24Ore, fino a guidare, per 18 anni, l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Cronista d’assalto e rigoroso, uomo dal grande senso etico, coraggioso e attento alle necessità dei giovani e dei “precari” della professione. I suoi manuali sono da decenni il riferimento dottrinale. Ha insegnato all’Università di Milano Bicocca e allo IULM. Si è impegnato per assicurare la formazione universitaria dei giornalisti. In un convegno a cui lo invitammo, a Tribiano, davanti ad una sala stracolma e attenta, puntualizzò con orgoglio che quello dei giornalisti “non è un mestiere, ma una professione”. Il suo bollettino quotidiano era letto da migliaia di professionisti. “Il giornalista assolve ad un diritto dovere riconosciuto dalla Costituzione; è l’occhio dei cittadini sulla politica, l’economia e la finanza”. Era fiero di essere stato definito un “giurista prestato al giornalismo”. Era un conoscitore profondo della storia italiana e dei valori del Risorgimento. Con Walter Tobagi condivise l’esperienza nell’Associazione lombarda dei Giornalisti. È stato il primo praticante d’ufficio della storia giornalistica italiana. “Poi, da presidente dell’Ordine, nei primi anni 90, credo di aver favorito l’accesso alla professione di almeno 3 o 4mila sfruttati”, ricordava con orgoglio. Negli anni 70 e 80 si è distinto per le inchieste sulla mafia e sul terrorismo, senza arretrare davanti alle minacce di queste organizzazioni criminali. Ricordava di avere seguito come cronista il fallimento del banchiere siciliano Sindona e di aver chiesto “pubblicamente sulle pagine del Giorno, che il procuratore generale si costituisse nel giudizio civile d’appello nell’interesse della Nazione”. Si è impegnato per evitare la commistione tra informazione e pubblicità. “I giornali non sono veicoli di pubblicità spacciata per notizia, di gossip o foto raccapriccianti”, ammoniva, proseguendo che “I giornalisti devono affermare e far valere il loro ruolo di mediatori intellettuali tra i fatti e i cittadini”. Sarà ricordato e rimpianto da tanti professionisti ed intellettuali e, ancora di più, dai giovani ai quali ha cercato di assicurare qualità e decoro nella professione del giornalismo.

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