CULLE VUOTE «Costruire nuovi asili nido non servirà a invertire il trend»

La riflessione di Marco Baratto

I numeri parlano chiaro. Nei primi cinque mesi del 2025 le nascite in Italia sono diminuite del 7,9% rispetto allo stesso periodo del 2024. Non si tratta solo di cittadini italiani, ma anche di famiglie immigrate, che tradizionalmente avevano contribuito a mantenere la curva delle nascite leggermente più alta. Il calo è dunque generalizzato e riflette una tendenza ormai consolidata in tutto il mondo ricco: meno figli, più anziani. Eppure, davanti a questo scenario, il Paese assiste alla costruzione diffusa di nuovi asili nido, finanziati con i fondi del PNRR. La domanda è inevitabile: per chi?

Molti di questi asili rischiano di restare vuoti. Non si tratta di un atteggiamento pessimista, ma di una semplice constatazione fondata sui dati. Le famiglie non rinunciano ad avere figli per la mancanza di strutture educative: a pesare sono piuttosto precarietà lavorativa, stipendi bassi, costo della vita insostenibile, assenza di prospettive. Pensare che qualche edificio nuovo possa invertire questa rotta è illusione. Lo dimostra anche l’esperienza di Paesi che, pur avendo investito molto nei servizi per l’infanzia, non hanno visto ripartire in modo significativo la natalità.

L’Italia sta cambiando volto e diventa ogni anno più anziana. Questo fenomeno non si fermerà, e anzi si accentuerà nei prossimi decenni. La vera urgenza, dunque, è prepararsi a una società diversa, capace di affrontare la sfida dell’invecchiamento. Invece di moltiplicare nidi destinati a restare deserti, serve una strategia più lungimirante, che guardi ai bisogni reali della popolazione.

La prima linea di azione riguarda l’invecchiamento attivo. Non bastano più le RSA per i non autosufficienti. Occorrono residenze moderne per gli anziani autosufficienti, con servizi sanitari, spazi di socialità, occasioni di vita comunitaria. In queste strutture le persone devono poter mantenere la propria autonomia, coltivare relazioni, continuare a sentirsi parte della società. L’età avanzata non deve essere vista solo come problema, ma come fase della vita da vivere pienamente.

In parallelo, va potenziata l’assistenza a chi non è autosufficiente. Le RSA oggi disponibili spesso sono insufficienti e non sempre all’altezza delle necessità. Una parte consistente delle risorse pubbliche dovrebbe essere destinata a ristrutturare, ampliare e modernizzare queste strutture, affinché nessuno sia costretto a vivere in condizioni di isolamento o abbandono. Un Paese civile si misura anche da come tratta i più fragili.

Un’altra questione riguarda la scuola. Con il crollo delle nascite, molte istituzioni scolastiche rischiano di svuotarsi progressivamente. Ha senso mantenerle così, con classi poco numerose e costi elevati? Probabilmente no. La soluzione passa dall’aggregazione, dall’ottimizzazione delle risorse, dalla creazione di poli scolastici più solidi, dove sia possibile garantire una didattica di qualità e un’offerta formativa più ampia. Lo stesso discorso vale per i piccoli Comuni, molti dei quali non riescono più a sostenersi da soli. Unirli e mettere in comune i servizi non è più un’opzione, ma una necessità.

Esiste poi un fronte spesso dimenticato: quello del patrimonio inutilizzato. Le vecchie colonie marine o montane, oggi abbandonate, potrebbero diventare centri di vacanza e socialità per anziani. Recuperare questi edifici significherebbe restituire valore a spazi dimenticati e offrire nuove occasioni di comunità. Sarebbe anche un modo per rilanciare territori marginali, spesso privi di servizi e opportunità.

Un capitolo cruciale è la gestione dell’immigrazione. Se la natalità cala ovunque, l’unico modo per compensare almeno in parte il declino demografico è favorire un’immigrazione regolare, ordinata e produttiva. Non si tratta di slogan, ma di semplice realismo. Senza nuovi ingressi, il nostro tessuto produttivo e sociale non reggerà. Servono quindi politiche di accoglienza che valorizzino chi vuole lavorare e contribuire al futuro del Paese. Un sistema ben organizzato può garantire integrazione, sicurezza e sviluppo.

Va detto con chiarezza: continuare a costruire asili nido come se fossero la soluzione al problema significa sprecare risorse preziose. Non si tratta di negare l’utilità di questi servizi per chi ha figli piccoli, che restano comunque importanti. Si tratta però di riconoscere che oggi la priorità è altrove: nell’adattare il nostro sistema sociale a un mondo che invecchia, con milioni di persone che avranno bisogno di assistenza, cure e opportunità di vita attiva.

Marco Baratto

Mulazzano

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