SANT’ANGELO Appello dell’infermiera dopo la bella esperienza in Madagascar VIDEO

Vittoria Borgonovo, 29 anni, lancia un appello di colleghi: «In Italia la sanità pubblica è una bolla che sta per scoppiare»

«Tutto è partito un anno fa quando ho iniziato a somatizzare la situazione sanitaria di oggi in Italia, non è un periodo felice per la sanità pubblica, ho fatto un burnout a gennaio dell’anno scorso che mi ha portata a mettere in dubbio anche la mia decisione di fare l’infermiera».

SANT'ANGELO Vittoria Borgonovo, infermiera in Madagascar. Video di Cristina Vercellone

Vittoria Borgonovo, 29 anni, di Sant’Angelo, che lavorava in chirurgia nel Pavese e a breve inizierà il nuovo incarico in pronto soccorso al Policlinico San Matteo di Pavia, si racconta nella rubrica “Buone notizie del mercoledì”. È andata tre mesi in Madagascar, come volontaria, e ora che è tornata riparte con un nuovo slancio.

SANT'ANGELO «Sanità, una bolla che scoppia». Video di Cristina Vercellone

« Avevo deciso di licenziarmi - spiega - quando mi sono imbattuta nell’articolo di «Nurse 24» scritto dal coordinatore infermieristico del Pronto soccorso di Bolzano, che raccontava la sua esperienza con l’associazione Amici di Ampasilava”. Ho deciso di mettere in stand by la mia vita lavorativa e privata e capire se questo era il lavoro che volevo fare per tutta la vita e soprattutto se era il caso di riconsiderare quello che c’è qua in sanità. Sono andata a conoscere l’associazione a Bologna: mi sono piaciuti subito, hanno deciso di fondare questo ospedale 10 anni fa ad Andavadoaka, in Madagascar: hanno portato là la filosofia italiana della sanità. Sono l’ unica realtà in grado di erogare sanità pubblica a un popolo che è particolarmente povero. Ho deciso di partire a ottobre 2022».

«È stato molto complicato - racconta - per la tipologia di patologie che non avevo mai incontrato qua; anche quando capitavano patologie che si possono riscontrare qua i pazienti accedevano in pronto soccorso che erano gravissimi perché prima di arrivare da noi andavano dallo sciamano. L’età media dei pazienti era molto bassa».

«È stata un’esperienza molto forte, ho imparato tantissimo. L’associazione mi ha concesso la libertà di gestire l’ambulatorio di vulnologia. Ho vissuto una libertà, nel mio campo che Italia, ad oggi, non è concesso».

A colpire Vittoria Borgonovo è stata anche l’esperienza dei parti.

«Arrivavano ragazze con un’età molto bassa - racconta -. C’erano tantissime gravidanze e la scelta era quella di partorire nelle loro capanne. Quando succedeva però che il momento del parto fosse complicato, caricavano la ragazza sul carretto trainato dallo zebù e venivano in ospedale. Arrivavano in condizioni difficilissime. Ci trovavamo ad aprire la sala operatoria di notte per cesarei d’urgenza a ragazze di 15 anni; tra l’altro non avevamo l’energia elettrica e di notte utilizzavamo un erogatore d’urgenza a carburante. I parti naturali, invece, erano straordinari. Tutta la parte femminile della famiglia entrava in sala parto, compresi i bambini che giocavano lì intorno mentre noi facevamo partorire le donne. I maschi, invece, restavano fuori perché non potevano venire a contatto con il sangue. Quando i bambini nascevano e le mamme scoprivano che i vestitini non erano del colore preparato in base alle previsioni del sesso fatte dagli sciamani, scoppiavano a ridere, risate che qua si fa fatica a sentire. Era bellissimo».

«Una delle difficoltà - racconta - era quella di dover fare i conti con la carenza di materiale; avevamo solo un apparecchio per le radiografie e un ecografo. Tutto il resto si basava sulla clinica e l’esperienza».

«Ho scoperto tantissime nuove lesioni dovute a malattie tropicali che mai avevo visto e nonostante, appunto, la qualità scarsa dei materiali disponibili, abbiamo ottenuto risultati bellissimi e scongiurato l’amputazione degli arti».

«L’associazione, poi, mi ha dato la possibilità fare formazione nel gruppo dei volontari sulle lesioni cutanee: questo ha garantito la continuità assistenziale. Adesso che sono tornata a casa, settimanalmente Martina, l’infermiera, rimasta là, mi aggiorna sull’andamento di una donna arrivata con un piede in condizioni gravissime, gonfio e pieno di lesioni mai viste».

«Tra i ricordi belli quello di quando abbiamo operato una signora che aveva un tumore al seno grandissimo. Il figlio era entusiasta, ha chiesto i nostri contatti Facebook per ringraziarci e ancora adesso ci scrive. Questa e tante altre le esperienze che porterò sempre nel cuore. Mi piacerebbe tornare, magari con gli stessi volontari nei prossimi anni».

L’infermiera barasina, grazie alla sua esperienza in Madagascar, è riuscita a salvarsi dal burnout al quale stava andando incontro. «Qua - dice - la sanità pubblica è una bolla che sta scoppiando. Siamo in pochi, in competizione tra noi, con scarsi riconoscimenti. Si bada più alla quantità del lavoro e si perde di vista il focus che sono le persone ricoverate. Bisogna fare qualcosa, tutti insieme, uniti, per cambiare le cose. Il lavoro dell’infermiere per me è una passione, ma non una missione. Non deve essere una fonte di stress. Insieme dobbiamo cambiare».

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