LA NOVITA’ - «Altre storie», le esperienze del carcere di Lodi sul «Cittadino»

Sul primo numero - in edicola martedì 20 agosto - l’esperienza di Agnese Moro, ospite in carcere

«Altre storie». È il titolo dello spazio che «il Cittadino» riserverà al carcere di Lodi, alla vita dei detenuti, alle loro esperienze e alle attività della struttura.

Dalla chiusura di «Uomini Liberi» il carcere era un po’ più povero. Rimediamo con questo nuovo impegno, nato dalla collaborazione fra la nostra testata e la direttrice del carcere e reso possibile grazie a un gruppo di volontari e alla dedizione dei detenuti, che ringraziamo. Sul «Cittadino» di martedì 20 agosto troverete due pagine di «Altre storie», un primo passo, per aiutare il carcere ad aprirsi alla città e per aiutare la città a comprendere meglio cosa si fa dentro il carcere, in un frangente molto difficile per il sistema penitenziario italiano come attestano le cronache quotidiane. Lorenzo Rinaldi, direttore «il Cittadino»

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L’esperienza di Agnese Moro e le “improbabili amiche”

Tutti conoscono la storia di Aldo Moro, ma non tutti quella di Agnese. Il 28 maggio 2024 nel carcere di Lodi abbiamo avuto modo di incontrarla e di ascoltare le sue parole. Figlia di Aldo Moro, politico, uomo di Stato, presidente della Democrazia cristiana morto ammazzato con la sua scorta nel 1978 a Roma. Sequestrato prima e poi ucciso dalle Brigate Rosse.

Abbiamo avuto modo così di incontrare non solo “la figlia di...” ma una donna, una persona che come tanti altri porta sulle spalle una storia. Un incontro che si inserisce nel nostro progetto “Altre storie” perché questa è una storia che fa la differenza.

Con Agnese c’era Grazia Grena, ex militante di un gruppo eversivo attivo negli anni Settanta. Abbiamo incontrato due donne forti, direi speciali: la loro assoluta sincerità era disarmante. Il dolore di Agnese era palpabile, è arrivato a noi in modo tanto diretto da sentirlo quasi nostro. Ci ha detto che prima del percorso sentiva di avere una vita irrimediabilmente segnata dalla vicenda di suo padre e di non riuscire a trovare la sua vera identità di persona perché era sempre e solo conosciuta come “la figlia di Aldo Moro”. Con il percorso di giustizia riparativa si è sentita liberata da un peso, perché finalmente si è sentita riconosciuta; lei è sicuramente una donna forte, ma la sensibilità che ha mostrato in questo frangente ci ha toccato dentro.

Grazia, anche se materialmente non ha partecipato all’agguato di Aldo Moro, condivideva le idee della lotta armata che in quegli anni imperversava in Italia. Ha dovuto, e soprattutto ha voluto, fare i conti con il proprio passato non a livello penale, perché il suo debito con la giustizia l’ha pagato, ma a livello morale nel percorso da lei intrapreso prima con sè stessa e poi con Agnese.

Sentire Agnese raccontarsi è stata un’esperienza coinvolgente. Ci ha toccato la sua emozione nel rivivere i giorni del sequestro, della morte di suo padre, del senso di vuoto che l’ha accompagnata per tanti anni, le sue paure, il suo non darsi pace per quello che era successo e il desiderio di capire il perché sia successo, di guardare in faccia chi quel dolore gliel’ha procurato e semplicemente chiedergli perché. Sentire lei e Grazia dialogare è stato all’inizio un po’ strano, poi con il passare dei minuti è diventato più chiaro. Sembravano amiche da una vita, o “improbabili amiche” come loro stesse si definiscono, invece erano state proprio le vicende della loro vita a farle incontrare. Erano sulla stessa lunghezza d’onda, parlavano la stessa lingua. Due donne dal passato così diverso, però accomunate dallo stesso tragico evento, e ora dallo stesso obiettivo: riconciliarsi. A noi cosa rimane? La consapevolezza di avere una possibilità in più, quella di poter andare oltre il risentimento e la vendetta. (articolo scritto dai detenuti del carcere di Lodi)

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