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Mercoledì 25 Giugno 2025
Il pregiudizio: cosa pensano le persone al di fuori?
ALTRE STORIE In edicola oggi con il «Cittadino» il giornale del carcere di Lodi
Lodi
La paura del pregiudizio porta spesso le persone detenute a chiedersi cosa pensino di loro coloro che vivono al di fuori delle mura del carcere. Questo interesse ha dato vita ad un questionario che conteneva sia domande aperte sia domande chiuse, elaborato dalla redazione interna di «Altre storie» con l’aiuto di volontari e volontarie.
L’obiettivo del questionario era indagare la percezione del carcere e di chi vi è detenuto, un’istituzione che, a causa delle sue alte mura, spesso rimane sconosciuta ai più.
Il desiderio di farsi conoscere e di comprendere meglio chi vive all’esterno ha guidato la creazione delle domande, successivamente raccolte in un modulo e diffuso da volontari e volontarie attraverso social media, contatti personali e passaparola.
È importante sottolineare che il campione di persone che ha risposto non è rappresentativo dell’intera popolazione italiana, ma riflette principalmente il punto di vista di coloro che, direttamente o indirettamente, hanno un legame con chi questo mondo lo attraversa.
251 persone hanno risposto al questionario. Non abbiamo informazioni sulla loro identità, le risposte erano completamente anonime. Ciò che ha sorpreso chi ci ha lavorato è stata l’estrema apertura nei confronti delle persone private della libertà personale, spesso vittime di pregiudizi e stigmatizzazioni. A dimostrarlo è la difficoltà che le persone detenute spesso incontrano nel reinserirsi nella società, nonostante abbiano scontato la propria pena.
Le risposte raccolte, però, trasmettono fiducia. Non emerge una tendenza a demonizzare chi ha commesso un reato, né l’idea che la vita in carcere sia paragonabile ad un soggiorno in hotel. Al contrario, si percepisce una profonda consapevolezza del fatto che chiunque, volente o meno, possa commettere errori e che, proprio per questo, tutti meritano una seconda possibilità: “Sbagliare è umano”, si dice.
Inoltre, chi è fuori dimostra di comprendere la paura e la disperazione che possono accompagnare l’ingresso in carcere, così come la necessità di garantire supporto psicologico e formativo per permettere alle persone detenute di ricostruirsi la propria vita.
Questo emerge chiaramente anche dal fatto che la maggior parte delle persone si è espressa a favore delle misure alternative alla detenzione per i reati minori, ritenendo che il carcere, a causa delle numerose problematiche che lo affliggono, come, ad esempio, il sovraffollamento, non sia sempre il modo migliore per raggiungere la finalità rieducativa.
Tale aspetto è stato ampiamente discusso con il gruppo di persone detenute che ha stilato il questionario, le quali si sono mostrate in accordo con i dati raccolti. Tuttavia, è stato sottolineato che esistono carceri più virtuose di altre, talvolta capaci di mostrare vie d’uscita dalla detenzione, offrendo opportunità lavorative e formative.
Dato l’interesse riscontrato tra le persone intervistate, chi ha contribuito a questo lavoro e il personale di servizio del carcere, lasciamo aperta la possibilità di dare vita ad un questionario aggiornato, che potrebbe consentirci, ad esempio, di comprendere quali siano le caratteristiche individuali (socio-demografiche, valoriali, etc.) associate a diverse rappresentazioni delle persone detenute e del carcere.
Alla luce delle riflessioni raccolte, come redazione ci auguriamo che queste idee possano diffondersi e contribuire ad un cambiamento culturale che porti l’istituzione penitenziaria ad essere percepita non come un mondo isolato e distante, ma come parte integrante della comunità.
Solo così chi vi è recluso potrà essere riconosciuto prima di tutto come una persona, e non soltanto come un detenuto, valorizzando il diritto ad una seconda possibilità nell’interesse non solo di chi sconta una pena, ma dell’intera società.
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