Il grazie a Lodi dell’infermiera giramondo Annarita Casale

LA STORIA «Dobbiamo metterci nei panni dell’altro per trasformare le paure in forza»

Infermiera giramondo. Da 22 anni nel Lodigiano, ma la stanzialità le sta stretta.

Annarita Casale, 54 anni, operativa fino all’1 settembre in senologia all’ospedale di Lodi, si è trasferita al Policlinico di Milano. Dopo il diploma al Gemelli di Roma, nel ’94, è andata al Fatebenefratelli di Milano, alla Madonnina e poi a Casale, Codogno, Lodi. Residente a Piacenza, nel 2012, mentre tornava a casa dal lavoro, nella curva della morte, a San Rocco, sulla via Emilia, è stata coinvolta in un frontale e se l’è vista brutta. A soccorrerla è arrivata la moglie del suo direttore di presidio Andrea Filippin.

È stato un calvario, per 6 mesi è rimasta in carrozzina, poi si è ripresa. Tutta la vita è un vai e vieni tra la vita e la morte e lo è stato anche per lei, soprattutto nell’approccio professionale.

«Quando sono passata dalla riabilitazione dove lavoravo per ridare la vita - racconta - ai malati oncologici in fin di vita continuavo a piangere».

Quando ha studiato per diventare infermiera Annarita Casale aveva già in tasca un diploma di maestra.

«La prima volta che ho visto un ago - racconta - mi sono sentita svenire. Ho incominciato a inserirmi nel mondo sanitario facendo la volontaria nella Croce rossa, ho svolto 2 anni di volontariato nel Casertano, ho passato il test a Roma e sono diventata sottotenente delle crocerossine. La mia fortuna è stata avere una famiglia che mi ha sostenuto nella formazione, mi ha mandata nella capitale a studiare. Adesso mi sposto al Policlinico per una mia crescita di fine carriera, poi chissà, magari ritornerò a Lodi. Faccio questo lavoro con amore, ringrazio di cuore tutta la popolazione lodigiana e i miei colleghi: fanno parte della mia famiglia. Per me viene la cura della persona al primo posto e poi tutto il resto. Mi metto sempre nei panni dell’altro. “Se fossi quel paziente cosa farei?”, mi chiedo».

Casale ringrazia tutte le donne che le «hanno permesso di stare loro accanto in un momento così particolare della loro esistenza: ricevere una diagnosi di cancro e, in modo particolare di cancro al seno, cambia la vita; ogni diagnosi data è una diagnosi ricevuta. Dobbiamo cogliere l’anima di chi abbiamo di fronte, coglierne le debolezze, le paure, mettersi nei panni dell’altro per poi trasmettere e trasformare le paure in forza e in cure gli esiti di malattia; trasmettere fiducia in questi momenti verso la sanità è fondamentale: le donne con questo vissuto devono essere da tramite per dare informazioni sulla qualità delle cure ricevute all’ospedale di Lodi e dell’importanza della prevenzione ad ogni livello».

Tra i momenti più emozionanti della sua professione l’infermiera ricorda tutto il periodo della pandemia e l’impegno nel servizio di telecovid a Codogno: «Abbiamo scritto - dice - la storia della malattia».

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